Bene. Sono riuscito
a trovare il tempo per riprendere in mano la tastiera. Non per un racconto,
però, ma per una recensione cinematografica. Lo so, lo so: sono passate diverse
settimane dall’uscita nelle sale dell’ultimo film di Matteo Garrone, ma io ve
ne parlo comunque, perché mi è piaciuto molto e forse alcuni di voi non lo
hanno ancora visto e hanno intenzione di recuperarlo.
Che dire? Sono
entrato al cinema con la speranza che Il
racconto dei racconti mi stupisse. E così è stato. Per una serie di motivi
che ora vado ad elencare.
Il primo, e forse
il più importante, è che il film prende spunto da Lo cunto de li cunti, la
più antica raccolta di fiabe d’Europa, scritta nel ‘600 da Giambattista Basile.
Ciò dona al film una patina antica, originalissima, fantastica ma allo stesso
tempo più “realistica” rispetto a quella di un classico fantasy pieno di orchi,
elfi, draghi e ragazzi prescelti. Prendere spunto dalle fiabe ha permesso al
regista e agli sceneggiatori di recuperare modelli narrativi antichi e troppo
spesso dimenticati: insomma, non ci ritroveremo di fronte la solita storia
hollywoodiana (=scontata) del ragazzo destinato a compiere imprese mitiche o a
sconfiggere il cattivone di turno. No. Qui abbiamo tre storie piuttosto
semplici, che di eroico non hanno nulla: una regina disposta a tutto, anche a
ricorrere alla magia nera, pur di avere un figlio; due anziane sorelle che
ordiscono uno stratagemma per soddisfare le brame di un sovrano allupato; un re
che organizza una sfida impossibile (quasi) per impedire ad uno stuolo di
pretendenti di sposare l’unica, amatissima figlia… che dire: storie
inaspettate, vero?
Secondo punto di
forza del film: le ambientazioni. Il regista, in perfetta sintonia con
l’atmosfera più realistica e in qualche modo più “storica” dei racconti, ha
scelto di ambientare le sue storie in luoghi effettivamente esistenti,
ricorrendo in questo modo ad un utilizzo ridotto della CGI. E così le
narrazioni, sapientemente intrecciate in una struttura circolare, prendono vita
sullo sfondo del meraviglioso Castel del Monte (Puglia), del castello di
Donnafugata (Ragusa) e delle Via Cave (Grosseto). Si tratta di un film che,
anche se recitato in lingua inglese, mantiene un forte legame con la nostra
terra, mostrando le bellezze di un’Italia che non finirà mai di stupire.
Terzo punto di
forza: il legame fra le tre storie. Avrete notato che tutte e tre le fiabe
hanno come protagonisti tre monarchi, tre individui abbietti che, in un modo o
nell’altro, si lasciano irretire dalla brama del potere e finiscono con il far
del male alle persone che amano o che credono di amare. Appellarsi alla fiaba
significa infatti anche questo: toccare argomenti archetipici, tra i quali
figurano senz’altro la gelosia, l’ingordigia, la depravazione… questioni
quotidiane, che costituiscono un ponte fra il mondo di Basile e il nostro, e
che ci mostrano come l’uomo, nonostante il passare dei secoli, sia sempre
rimasto uguale.
Ma allora, c’è solo
il male in questo film? Tutt’altro. Una piccola fiammella, forse la speranza di
un futuro diverso, si nasconde nei giovani protagonisti del film: due gemelli
separati e costretti a difendersi dalla perfida regina-madre, una principessa
costretta a sporcarsi le mani di sangue pur di recuperare la libertà perduta… i
giovani devono lottare, questo non lo possono evitare, ma il futuro, il
cambiamento, è loro. Ai loro sconsiderati genitori, colpevoli di aver vissuto
in modo avido e dissennato, non resta che inginocchiarsi e versare lacrime
amare.