Ed ecco a voi l'ultima parte della leggenda di Creekwall! Spero che questa serie di racconti vi abbia stupito e appassionato. Ricordatevi di commentare: ogni parere è prezioso. Buona lettura.
Alvise
Nella prigione terrosa degli
elfi, Ytan ebbe il tempo di ripensare agli eventi che lo avevano portato fin
lì. Meditò sulla maledizione che aveva ingoiato le terre degli uomini, e
rifletté sul perché alcune città, ossia le più piccole e modeste, fossero state
risparmiate. Che la maledizione avesse qualcosa a che fare con l’avidità, con
la sete di potere, che, come un nemico invisibile, aveva iniziato a strisciare
prima a nord e poi anche lì, nell’arcaica foresta degli elfi? E come mai i
Silenti rapivano solamente i giovani, e da dove prendeva forza l’oscuro
incantesimo che alimentava l’esistenza stessa di quell’esercito spettrale? Era
in questi interrogativi che si nascondeva il segreto per rompere la
maledizione, solo che il messaggero non aveva la minima idea di come risolvere
l’enigma.
Ytan pensò, pensò e pensò, ma
più si sforzava, più le domande si facevano confuse e meno la via gli appariva
chiara. E poi, se non fosse riuscito ad evadere, tutta quella fatica si sarebbe
conclusa con un nulla di fatto: sarebbe morto in quel buco nella terra e la sua
missione avrebbe avuto fine. Creekwall e i villaggi vicini avrebbero continuato
a soffrire e l’esercito dei Silenti sarebbe diventato sempre più forte e
spaventoso, finché il cielo ne sarebbe stato oscurato.
Ma ecco che nel cuore della
terza notte, i pensieri di Ytan vennero interrotti da un impercettibile scalpiccio,
come di passi leggeri sul suolo della foresta. Seguì un grido soffocato e un
tonfo. Dopodiché la porticina della prigione si aprì e una lama di luce
fendette l’oscurità, proiettandosi sui muri della cella come il guizzo di un
prisma.
«Straniero! Esci… siamo venuti a
liberarti.» a parlare era stata una voce fiera, e tuttavia dolce. Una mano fu
tesa nell’oscurità, Ytan la afferrò e venne tratto fuori dall’umida prigione in
cui languiva da oltre tre giorni. Era notte fonda e il cielo era come il manto azzurro
di un dio-cavaliere steso sul mondo.
Il messaggero inspirò
profondamente l’aria notturna e i sentori d’abete che aleggiavano nella
foresta. Guardò le stelle, mille occhi splendenti, che gli ricordarono quelli
densi di magia di Igreine. Fu solo quando si sentì davvero libero che si
rivolse a colui che lo aveva salvato.
Era un giovane elfo, dai capelli
neri come ebano. Aveva sopracciglia cispose, come quelle di un gufo e una bocca
sottile, fiera e combattiva. Era accompagnato da una ventina di guerrieri dal
viso dipinto di nero, che sembravano ombre sottili nella notte.
«Sono Peredìl, nipote del re –
disse l’elfo misterioso – Il tuo arrivo ci ha dato forza, straniero. Questa
notte, per vendicare l’affronto di Seretìl contro la madre foresta, attaccheremo.
Dimostreremo che molti di noi hanno ancora a cuore le antiche usanze e non
desiderano la guerra, ma solo la pace e un ritorno ai valori del passato.»
«Che tu sia benedetto, Peredìl –
rispose Ytan – il tuo coraggio ha salvato me e la mia missione!»
E Ytan raccontò tutto quanto, il
viaggio che aveva compiuto e i pericoli che aveva dovuto affrontare nella sua
ricerca della verità. Peredìl ascoltò con attenzione e così fecero anche gli
altri elfi ribelli. I loro occhi erano duri e splendenti come rocce illuminate
dai raggi lunari.
«Messaggero – esclamò alla fine
Peredìl – la missione non è solo tua, ma di tutti noi. Anche nella foresta di
Kalimdar è scesa l’ombra dei Silenti. Anche i nostri hanno iniziato a sparire.»
«Che cosa posso fare, dunque,
per porre fine a tutto ciò?» mormorò Ytan, mentre gli occhi gli si riempivano
di lacrime. L’elfo scosse la testa.
«Non lo sappiamo, ma forse c’è
chi potrà risponderti. Alla fine di questo sentiero troverai un fiume e più
oltre una cascata. Oltrepassala e raggiungerai una strada segreta, una strada
ampia e splendente che al posto delle pietre ha cristalli di luna. Seguila e ti
porterà nel cuore della foresta Sacra, dove neppure Seretìl ha il coraggio di
inoltrarsi. Ai confini estremi di questa foresta, se il tuo piede non cadrà in
fallo, troverai un albero, l’Albero d’oro. Dentro le sue radici, nel ventre
della terra, Esso conserva tutto il sapere e la magia del mondo. Potrà
aiutarti, ma solo se il tuo cuore è davvero puro come dici. Non molti sono
tornati da questo viaggio, perché hanno percorso quella strada appesantiti
dalla bramosia di potere.»
«Non mi interessa il potere,
Peredìl, nipote del re.» ribatté il ragazzo e nelle sue parole c’era il vero.
«Allora forse per tutti noi c’è
ancora speranza. – osservò l’elfo, sorridendo con sincerità – Ora va’,
messaggero. Dal tuo viaggio dipende la vita di tutti noi.»
Detto questo, gli elfi svanirono
nella notte. Ytan, procedendo silenziosamente fra gli alberi, superò il
sentiero e raggiunse il fiume. Lo notarono solo gli occhi gialli dei gufi, che
lo accompagnarono lungo la via con il loro lugubre bubolare. Il sentiero
divenne sempre più pendente, finché raggiunse la sommità di una collina che
sovrastava una parte della foresta. Fu lì che il ragazzo si fermò e si mise ad
ascoltare con attenzione: dalla città degli elfi provenivano ora i suoni di una
battaglia; i ribelli stavano combattendo contro la sete di vendetta dei
sostenitori di Seretìl. Chi avrebbe vinto? Ytan non lo sapeva e in quel momento
non gli importava: la riuscita della sua missione era l’unica cosa che contava.
Continuò a seguire il lento
serpeggiare del fiume, finché giunse alla cascata; era davvero maestosa, e
l’acqua risplendeva della luce delle stelle dopo essersi infranta sulle rocce
sottostanti. Le gocce che rimbalzavano sulle pietre creavano una musica che
sapeva muovere a compassione il cuore. Ma Ytan non aveva tempo di ascoltare.
Scese con attenzione le rocce scivolose d’alghe di fiume, si immerse fino alla
cintola nell’acqua gelata, oltrepassò il muro mutevole della cascata e, come
Peredìl gli aveva detto, trovò la via lastricata di cristalli.
Non erano affatto cristalli, ma
diamanti purissimi, grandi come uova di drago. Erano splendidi e tuttavia…
avevano un che di terribile e guardarli era come perdersi in un labirinto. La
sicurezza di Ytan cominciò a vacillare. Una specie di verme si fece strada nel
suo cuore. Sussurri di tenebra si infiltrarono nella sua mente. I suoi occhi si
misero a vagare su quella distesa opalescente, mentre un sorriso sbilenco si arricciò
sinistro sul suo volto. Se avesse preso anche solo uno di quei diamanti avrebbe
potuto trascorrere il resto della sua vita come un re. Avrebbe potuto comprare
un castello, assumere dei servitori, creare un esercito e… no, che cosa stava
dicendo! Il messaggero scosse la testa, si prese a pugni la fronte, cercando di
distogliere lo sguardo da quel tesoro. L’albero, doveva raggiungere l’albero
prima che fosse troppo tardi!
Cercò di proseguire, ma ogni
passo si faceva pesante come piombo. Prendi
un diamante, uno soltanto. Che cosa sarà mai? Una voce sempre più potente
si faceva largo dentro di lui. Era una voce, e tuttavia non era composta da
parole, piuttosto da zoccoli di cavalli e scoppiettii di fuoco e ruggiti di
bestia e vagiti di morte. La voce dei Silenti!
Cadde in ginocchio, la fronte a
contatto con la fredda superficie iridescente dei diamanti. Allungò una mano.
Afferrò una di quelle pietre. Non erano affatto fissate alla terra, si potevano
estrarre come fossero denti marci su una gengiva. Erano semplici da arraffare e
avrebbero reso tutto più semplice. No, no!
gridò Ytan nella sua testa. Doveva resistere, o non sarebbe mai riuscito a
raggiungere l’albero né quest’ultimo gli avrebbe mai dato ascolto. Iniziò a
strisciare sui gomiti, gli occhi levati al cielo cupo, dietro le cui nuvole si
delineava però il cerchio infuocato dell’aurora.
Prendi
quelle pietre!
«No!»
Stringendo i denti e le palpebre
come di fronte ad un incubo proveniente dalle nebbie dell’Altrove, Ytan si
trascinò lungo la via di diamanti. Avrebbe continuato a strisciare per sempre
se le sue mani ad un tratto non avessero incontrato la nuda terra. Riaprì gli
occhi. La strada di diamante era finita. E, di fronte a lui, si trovava
l’Albero d’oro. Era gigantesco e i suoi frutti erano globi di luce dorata, che
palpitavano come cuori d’angelo. Ed ecco che una figura si frappose fra lui e
la pianta. Era una fata bellissima, dalle ali di farfalla. Indossava un abito
fatto di pura luce stellare e un diadema di pietra di luna brillava fra i suoi
capelli del colore del grano.
«Sono Alycanta – disse
l’apparizione – la guardiana dell’Albero d’oro. E tu chi sei, mortale?»
«Sono Ytan, di Creekwall. Sono
stato mandato qui per scoprire il modo di spezzare la maledizione che tiene
incatenato il mio popolo. Ma ho fallito: la strada di diamante mi ha tratto in
tentazione. Avrei tradito tutto e tutti pur di prendere uno di quei cristalli.
Ho fallito… Non sono migliore degli altri uomini né sono degno di parlare con
il grande albero.»
Alycanta si avvicinò e lo
abbracciò.
«Non conta come tu sia arrivato
fin qui – disse – ma che tu ci sia riuscito. Non è la tentazione in sé a
distruggere l’uomo ma l’arrendersi ad essa. Sei il terzo che, nonostante tutto,
è riuscito ad arrivare fin qui. Migliaia di altri uomini ci hanno provato ma o
si sono lasciati morire su quella strada, dilaniati dal dubbio, o sono fuggiti
portandosi via un diamante. Entrambi hanno fatto una brutta fine. Ma tu,
piccolo uomo, ce l’hai fatta.»
Allora Ytan scoppiò in lacrime.
«Oh, potente Alycanta. Dimmi
come posso porre fine alla maledizione che affligge il mio popolo!»
La fata gli sorrise.
«L’Albero te lo dirà. Ma dovrai
superare un’ultima prova.»
«Qualsiasi cosa.» rispose
prontamente il ragazzo.
«Dovrai addormentarti ai piedi
dell’albero e lasciare che la tua anima venga assorbita dalle sue radici. La
tua essenza vitale salirà fino ai rami e lì, quando il sole di luglio splenderà
nella foresta, darà vita ad un frutto.»
«Un frutto?»
«Sì. E se sarà un frutto buono,
l’albero saprà che sei degno di sentire la risposta. Se sarà cattivo…»
«Se sarà cattivo?»
«Morirai, messaggero. L’albero
non ti restituirà la tua anima e il tuo corpo marcirà sotto le sue radici. È
questo il prezzo.»
Ytan non ci pensò due volte.
«E sia! – esclamò – Sono
pronto!»
Alycanta lo accompagnò con
affetto materno fino al grande albero. Ytan si accoccolò sui nodi delle radici
e, in men che non si dica, cadde in un sonno profondissimo, il sonno più lungo
e duraturo della sua vita. La sua coscienza gocciolò nella terra, fino a raggiungere
la punta delle radici e il cuore del sapere. E lì, Ytan morì e rinacque.
Prima vide solo buio, così buio
che pensava che non ci fosse più nulla. Poi una luce si palesò in quelle
tenebre. Era la luce del sole, potente, eterna. Insieme alla luce risuonava il
canto della natura: cinguettii di uccelli, ululati di lupo, ronzare di api,
sibilare di arbusti... Ytan aprì gli occhi interiori e scoprì che in quel
guizzo, in quel tempo esiguo che era sembrato solo un minuto, il suo frutto era
cresciuto. Era un frutto rosso, maturo, fresco. Buono. In quell’istante il suo
vero corpo, abbandonato sul tronco rugoso e tiepido dell’albero, si svegliò,
riscaldato e accecato dal sole estivo. Aveva superato anche l’ultima prova. E
la voce saggia dell’albero non tardò a farsi sentire.
«Ben svegliato, Ytan Seatiln,
messaggero di Creekwall, distruttore della torre, flagello degli
spaventapasseri, frutto dell’albero d’oro…»
«Buongiorno a te, araldo del
creatore, tu che sei stato e sempre sarai – rispose il ragazzo, abbassando in
segno di rispetto il capo – Hai dunque una risposta per me?»
«Sì, ma in cuor tuo già la
sapevi. L’esercito dei Silenti trae forza dalla disunità e dall’odio e
dall’avidità.»
«Lo sospettavo, ma perché sono i
giovani ad essere rapiti?»
«Perché i peccati dei padri
finiscono sempre per ricadere sui figli. Gli adulti hanno lasciato morire la
speranza, si sono fatti irretire dalla brama di potere e dall’avidità; si sono
scontrati l’un l’altro, dimenticando di essere fratelli. Hanno consumato tutto
come voraci lupi, guardando al presente come se il futuro non esistesse, e
adesso ai loro figli non resta che assistere alla devastazione che si sono
lasciati alle spalle. Sono i giovani a morire perché è su di loro che la
mancanza di speranza ha più presa. Ecco il segreto del potere dei Silenti.»
«Non c’è più speranza, dunque?»
sussurrò Ytan.
«C’è sempre. Solo che sarai tu a
portarla.»
«E come?»
«Dovrai mostrare loro qual è la
giusta via. Dovrai insegnare alle genti l’uguaglianza e il rispetto, l’umiltà e
l’unione. Viaggerai di paese in paese, portando le parole dell’Albero come un
vessillo di verità. Insegnerai ai popoli a ritornare fratelli. Solo così
l’esercito dei non-morti perderà potere fino a ritornare nelle viscere degli
inferi. Sconfitto per sempre.»
Ytan sorrise sollevato.
«Tutto qui?»
E dal profondo della terra salì
una risata roboante, la risata millenaria e crepitante dell’albero.
«Oh piccolo, piccolo ingenuo
uomo. Non capisci? La tua vera missione inizia adesso.»
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