mercoledì 7 gennaio 2015

La leggenda di Creekwall - Quinta e ultima parte

Ed ecco a voi l'ultima parte della leggenda di Creekwall! Spero che questa serie di racconti vi abbia stupito e appassionato. Ricordatevi di commentare: ogni parere è prezioso. Buona lettura.
Alvise 





Nella prigione terrosa degli elfi, Ytan ebbe il tempo di ripensare agli eventi che lo avevano portato fin lì. Meditò sulla maledizione che aveva ingoiato le terre degli uomini, e rifletté sul perché alcune città, ossia le più piccole e modeste, fossero state risparmiate. Che la maledizione avesse qualcosa a che fare con l’avidità, con la sete di potere, che, come un nemico invisibile, aveva iniziato a strisciare prima a nord e poi anche lì, nell’arcaica foresta degli elfi? E come mai i Silenti rapivano solamente i giovani, e da dove prendeva forza l’oscuro incantesimo che alimentava l’esistenza stessa di quell’esercito spettrale? Era in questi interrogativi che si nascondeva il segreto per rompere la maledizione, solo che il messaggero non aveva la minima idea di come risolvere l’enigma.
Ytan pensò, pensò e pensò, ma più si sforzava, più le domande si facevano confuse e meno la via gli appariva chiara. E poi, se non fosse riuscito ad evadere, tutta quella fatica si sarebbe conclusa con un nulla di fatto: sarebbe morto in quel buco nella terra e la sua missione avrebbe avuto fine. Creekwall e i villaggi vicini avrebbero continuato a soffrire e l’esercito dei Silenti sarebbe diventato sempre più forte e spaventoso, finché il cielo ne sarebbe stato oscurato.
Ma ecco che nel cuore della terza notte, i pensieri di Ytan vennero interrotti da un impercettibile scalpiccio, come di passi leggeri sul suolo della foresta. Seguì un grido soffocato e un tonfo. Dopodiché la porticina della prigione si aprì e una lama di luce fendette l’oscurità, proiettandosi sui muri della cella come il guizzo di un prisma.
«Straniero! Esci… siamo venuti a liberarti.» a parlare era stata una voce fiera, e tuttavia dolce. Una mano fu tesa nell’oscurità, Ytan la afferrò e venne tratto fuori dall’umida prigione in cui languiva da oltre tre giorni. Era notte fonda e il cielo era come il manto azzurro di un dio-cavaliere steso sul mondo.
Il messaggero inspirò profondamente l’aria notturna e i sentori d’abete che aleggiavano nella foresta. Guardò le stelle, mille occhi splendenti, che gli ricordarono quelli densi di magia di Igreine. Fu solo quando si sentì davvero libero che si rivolse a colui che lo aveva salvato.
Era un giovane elfo, dai capelli neri come ebano. Aveva sopracciglia cispose, come quelle di un gufo e una bocca sottile, fiera e combattiva. Era accompagnato da una ventina di guerrieri dal viso dipinto di nero, che sembravano ombre sottili nella notte.
«Sono Peredìl, nipote del re – disse l’elfo misterioso – Il tuo arrivo ci ha dato forza, straniero. Questa notte, per vendicare l’affronto di Seretìl contro la madre foresta, attaccheremo. Dimostreremo che molti di noi hanno ancora a cuore le antiche usanze e non desiderano la guerra, ma solo la pace e un ritorno ai valori del passato.»
«Che tu sia benedetto, Peredìl – rispose Ytan – il tuo coraggio ha salvato me e la mia missione!»
E Ytan raccontò tutto quanto, il viaggio che aveva compiuto e i pericoli che aveva dovuto affrontare nella sua ricerca della verità. Peredìl ascoltò con attenzione e così fecero anche gli altri elfi ribelli. I loro occhi erano duri e splendenti come rocce illuminate dai raggi lunari.
«Messaggero – esclamò alla fine Peredìl – la missione non è solo tua, ma di tutti noi. Anche nella foresta di Kalimdar è scesa l’ombra dei Silenti. Anche i nostri hanno iniziato a sparire.»
«Che cosa posso fare, dunque, per porre fine a tutto ciò?» mormorò Ytan, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime. L’elfo scosse la testa.
«Non lo sappiamo, ma forse c’è chi potrà risponderti. Alla fine di questo sentiero troverai un fiume e più oltre una cascata. Oltrepassala e raggiungerai una strada segreta, una strada ampia e splendente che al posto delle pietre ha cristalli di luna. Seguila e ti porterà nel cuore della foresta Sacra, dove neppure Seretìl ha il coraggio di inoltrarsi. Ai confini estremi di questa foresta, se il tuo piede non cadrà in fallo, troverai un albero, l’Albero d’oro. Dentro le sue radici, nel ventre della terra, Esso conserva tutto il sapere e la magia del mondo. Potrà aiutarti, ma solo se il tuo cuore è davvero puro come dici. Non molti sono tornati da questo viaggio, perché hanno percorso quella strada appesantiti dalla bramosia di potere.»
«Non mi interessa il potere, Peredìl, nipote del re.» ribatté il ragazzo e nelle sue parole c’era il vero.
«Allora forse per tutti noi c’è ancora speranza. – osservò l’elfo, sorridendo con sincerità – Ora va’, messaggero. Dal tuo viaggio dipende la vita di tutti noi.»
Detto questo, gli elfi svanirono nella notte. Ytan, procedendo silenziosamente fra gli alberi, superò il sentiero e raggiunse il fiume. Lo notarono solo gli occhi gialli dei gufi, che lo accompagnarono lungo la via con il loro lugubre bubolare. Il sentiero divenne sempre più pendente, finché raggiunse la sommità di una collina che sovrastava una parte della foresta. Fu lì che il ragazzo si fermò e si mise ad ascoltare con attenzione: dalla città degli elfi provenivano ora i suoni di una battaglia; i ribelli stavano combattendo contro la sete di vendetta dei sostenitori di Seretìl. Chi avrebbe vinto? Ytan non lo sapeva e in quel momento non gli importava: la riuscita della sua missione era l’unica cosa che contava.
Continuò a seguire il lento serpeggiare del fiume, finché giunse alla cascata; era davvero maestosa, e l’acqua risplendeva della luce delle stelle dopo essersi infranta sulle rocce sottostanti. Le gocce che rimbalzavano sulle pietre creavano una musica che sapeva muovere a compassione il cuore. Ma Ytan non aveva tempo di ascoltare. Scese con attenzione le rocce scivolose d’alghe di fiume, si immerse fino alla cintola nell’acqua gelata, oltrepassò il muro mutevole della cascata e, come Peredìl gli aveva detto, trovò la via lastricata di cristalli.
Non erano affatto cristalli, ma diamanti purissimi, grandi come uova di drago. Erano splendidi e tuttavia… avevano un che di terribile e guardarli era come perdersi in un labirinto. La sicurezza di Ytan cominciò a vacillare. Una specie di verme si fece strada nel suo cuore. Sussurri di tenebra si infiltrarono nella sua mente. I suoi occhi si misero a vagare su quella distesa opalescente, mentre un sorriso sbilenco si arricciò sinistro sul suo volto. Se avesse preso anche solo uno di quei diamanti avrebbe potuto trascorrere il resto della sua vita come un re. Avrebbe potuto comprare un castello, assumere dei servitori, creare un esercito e… no, che cosa stava dicendo! Il messaggero scosse la testa, si prese a pugni la fronte, cercando di distogliere lo sguardo da quel tesoro. L’albero, doveva raggiungere l’albero prima che fosse troppo tardi!
Cercò di proseguire, ma ogni passo si faceva pesante come piombo. Prendi un diamante, uno soltanto. Che cosa sarà mai? Una voce sempre più potente si faceva largo dentro di lui. Era una voce, e tuttavia non era composta da parole, piuttosto da zoccoli di cavalli e scoppiettii di fuoco e ruggiti di bestia e vagiti di morte. La voce dei Silenti!
Cadde in ginocchio, la fronte a contatto con la fredda superficie iridescente dei diamanti. Allungò una mano. Afferrò una di quelle pietre. Non erano affatto fissate alla terra, si potevano estrarre come fossero denti marci su una gengiva. Erano semplici da arraffare e avrebbero reso tutto più semplice. No, no! gridò Ytan nella sua testa. Doveva resistere, o non sarebbe mai riuscito a raggiungere l’albero né quest’ultimo gli avrebbe mai dato ascolto. Iniziò a strisciare sui gomiti, gli occhi levati al cielo cupo, dietro le cui nuvole si delineava però il cerchio infuocato dell’aurora.
Prendi quelle pietre!
«No!»
Stringendo i denti e le palpebre come di fronte ad un incubo proveniente dalle nebbie dell’Altrove, Ytan si trascinò lungo la via di diamanti. Avrebbe continuato a strisciare per sempre se le sue mani ad un tratto non avessero incontrato la nuda terra. Riaprì gli occhi. La strada di diamante era finita. E, di fronte a lui, si trovava l’Albero d’oro. Era gigantesco e i suoi frutti erano globi di luce dorata, che palpitavano come cuori d’angelo. Ed ecco che una figura si frappose fra lui e la pianta. Era una fata bellissima, dalle ali di farfalla. Indossava un abito fatto di pura luce stellare e un diadema di pietra di luna brillava fra i suoi capelli del colore del grano.
«Sono Alycanta – disse l’apparizione – la guardiana dell’Albero d’oro. E tu chi sei, mortale?»
«Sono Ytan, di Creekwall. Sono stato mandato qui per scoprire il modo di spezzare la maledizione che tiene incatenato il mio popolo. Ma ho fallito: la strada di diamante mi ha tratto in tentazione. Avrei tradito tutto e tutti pur di prendere uno di quei cristalli. Ho fallito… Non sono migliore degli altri uomini né sono degno di parlare con il grande albero.»
Alycanta si avvicinò e lo abbracciò.
«Non conta come tu sia arrivato fin qui – disse – ma che tu ci sia riuscito. Non è la tentazione in sé a distruggere l’uomo ma l’arrendersi ad essa. Sei il terzo che, nonostante tutto, è riuscito ad arrivare fin qui. Migliaia di altri uomini ci hanno provato ma o si sono lasciati morire su quella strada, dilaniati dal dubbio, o sono fuggiti portandosi via un diamante. Entrambi hanno fatto una brutta fine. Ma tu, piccolo uomo, ce l’hai fatta.»
Allora Ytan scoppiò in lacrime.
«Oh, potente Alycanta. Dimmi come posso porre fine alla maledizione che affligge il mio popolo!»
La fata gli sorrise.
«L’Albero te lo dirà. Ma dovrai superare un’ultima prova.»
«Qualsiasi cosa.» rispose prontamente il ragazzo.
«Dovrai addormentarti ai piedi dell’albero e lasciare che la tua anima venga assorbita dalle sue radici. La tua essenza vitale salirà fino ai rami e lì, quando il sole di luglio splenderà nella foresta, darà vita ad un frutto.»
«Un frutto?»
«Sì. E se sarà un frutto buono, l’albero saprà che sei degno di sentire la risposta. Se sarà cattivo…»
«Se sarà cattivo?»
«Morirai, messaggero. L’albero non ti restituirà la tua anima e il tuo corpo marcirà sotto le sue radici. È questo il prezzo.»
Ytan non ci pensò due volte.
«E sia! – esclamò – Sono pronto!»
Alycanta lo accompagnò con affetto materno fino al grande albero. Ytan si accoccolò sui nodi delle radici e, in men che non si dica, cadde in un sonno profondissimo, il sonno più lungo e duraturo della sua vita. La sua coscienza gocciolò nella terra, fino a raggiungere la punta delle radici e il cuore del sapere. E lì, Ytan morì e rinacque.

Prima vide solo buio, così buio che pensava che non ci fosse più nulla. Poi una luce si palesò in quelle tenebre. Era la luce del sole, potente, eterna. Insieme alla luce risuonava il canto della natura: cinguettii di uccelli, ululati di lupo, ronzare di api, sibilare di arbusti... Ytan aprì gli occhi interiori e scoprì che in quel guizzo, in quel tempo esiguo che era sembrato solo un minuto, il suo frutto era cresciuto. Era un frutto rosso, maturo, fresco. Buono. In quell’istante il suo vero corpo, abbandonato sul tronco rugoso e tiepido dell’albero, si svegliò, riscaldato e accecato dal sole estivo. Aveva superato anche l’ultima prova. E la voce saggia dell’albero non tardò a farsi sentire.
«Ben svegliato, Ytan Seatiln, messaggero di Creekwall, distruttore della torre, flagello degli spaventapasseri, frutto dell’albero d’oro…»
«Buongiorno a te, araldo del creatore, tu che sei stato e sempre sarai – rispose il ragazzo, abbassando in segno di rispetto il capo – Hai dunque una risposta per me?»
«Sì, ma in cuor tuo già la sapevi. L’esercito dei Silenti trae forza dalla disunità e dall’odio e dall’avidità.»
«Lo sospettavo, ma perché sono i giovani ad essere rapiti?»
«Perché i peccati dei padri finiscono sempre per ricadere sui figli. Gli adulti hanno lasciato morire la speranza, si sono fatti irretire dalla brama di potere e dall’avidità; si sono scontrati l’un l’altro, dimenticando di essere fratelli. Hanno consumato tutto come voraci lupi, guardando al presente come se il futuro non esistesse, e adesso ai loro figli non resta che assistere alla devastazione che si sono lasciati alle spalle. Sono i giovani a morire perché è su di loro che la mancanza di speranza ha più presa. Ecco il segreto del potere dei Silenti.»
«Non c’è più speranza, dunque?» sussurrò Ytan.
«C’è sempre. Solo che sarai tu a portarla.»
«E come?»
«Dovrai mostrare loro qual è la giusta via. Dovrai insegnare alle genti l’uguaglianza e il rispetto, l’umiltà e l’unione. Viaggerai di paese in paese, portando le parole dell’Albero come un vessillo di verità. Insegnerai ai popoli a ritornare fratelli. Solo così l’esercito dei non-morti perderà potere fino a ritornare nelle viscere degli inferi. Sconfitto per sempre.»
Ytan sorrise sollevato.
«Tutto qui?»
E dal profondo della terra salì una risata roboante, la risata millenaria e crepitante dell’albero.
«Oh piccolo, piccolo ingenuo uomo. Non capisci? La tua vera missione inizia adesso.»




g FINE f


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