Ghost Story - 20lines
La Zucca ghignò. Samuel si mise a tremare. Gli occhi della
Zucca divamparono, due globi luminescenti nel buio ghiacciato di fine ottobre. Resisti Sam, resisti, si disse il
bambino tra sé e sé, resisti o tutti ti
prenderanno in giro.
«A-andate v-voi, io devo pisciare.» mormorò a voce alta,
sussultando quando le parole uscirono frammentate dalle sue labbra esangui. Gli
altri compagni si girarono con aria sospettosa. Una strega, un lupo mannaro e
un vampiro, questi erano i travestimenti di Corinne, Joseph e Rufus. Ed erano
travestimenti davvero riusciti, visto che Sam, per un istante, ebbe la
sgradevole sensazione di non essere più coi suoi compagni di classe, ma insieme
a dei mostri veri, pronti a sbranarlo senza pietà.
«Andiamo, cacasotto. È soltanto una zucca, vedi?»
Joseph si avvicinò alla finestra e sollevò la zucca,
lanciandola in aria. Fu anche peggio, perché il fuoco contenuto nel corpo cavo
della Jack-o’-lantern fuoriuscì dalle orbite vuote in lunghe cascate di fiamma,
che ulularono a contatto con l’aria notturna. Samuel indietreggiò lentamente.
Se l’era solo sognato o il fuoco aveva davvero preso la forma di un sorriso sdentato?
«D-dai ragazzi. A-aspettatemi o l-lo dirò ai vostri
g-genitori.» balbettò il bambino, incrociando le braccia dietro la schiena per
non far vedere che stava tremando. Non aveva mentito: se la stava davvero
facendo sotto. Ancora qualche secondo e si sarebbe bagnato fino alle orecchie.
La strega, il lupo mannaro e il vampiro si guardarono di
sottecchi.
«E va bene, mammoletta. Va’ dietro quella roccia, noi ti
aspettiamo qui.» borbottarono in coro.
Corinne scoppiò a ridere.
«Falla di corsa o il vecchio Jack ti troverà e ti mangerà il
pisello!»
Samuel inorridì e fuggì via nella notte, il suo mantello da
fantasma che svolazzava dietro di lui come una scia di fumo.
«Che pollo.» ridacchiò Joseph. Rufus lo guardò male.
«Lascialo stare. È mio cugino, dopotutto.»
«Il tuo cugino femminuccia. Non è che hai preso da lui, viso
che è tuo parente?»
Rufus si tirò su le maniche e si sistemò il colletto del
mantello color sangue.
«Ripetilo se hai coraggio.»
Corinne li interruppe con l’autorità magnetica che tutte le
ragazzine esercitano sugli adolescenti in pubertà.
«Shhhh. Non avete sentito anche voi?»
Joseph e Rufus deglutirono rumorosamente.
«Che cosa?»
«Come una… una risata nella notte?»
«Cos’è, ti scappa anche a te?» la rimbeccò Rufus. Corinne
scosse la testa. Rimasero in ascolto, ma non udirono altro che un silenzio da
film dell’orrore.
«Non vi sembra che Samuel sia via da troppo tempo?» osservò
Corinne, rabbrividendo.
«Ma no… eccolo lì.»
Samuel sbucò da dietro la roccia. Sembrava ancora più
silenzioso e timido di prima.
«Ecco f-fatto. S-suoniamo?»
I tre mostri annuirono. Bussarono alla porta della casa, una
struttura coloniale bianca che brillava nelle tenebre notturne come un vecchio
osso dissotterrato. La signora Cavendish, la docente di letteratura, uscì sulla
veranda in un completo da ragno nero. Corinne, che era aracnofobica, sbiancò di
brutto.
«Mi lascia indovinare, signora Cavendish. – ponderò Rufus –
È una vedova nera?» poi si rese conto che la Cavendish aveva perso il marito la
primavera scorsa, allora anche lui sbiancò. La professoressa non la prese bene
e digrignò i denti.
«No, Rufus. Sono Shelob. Oh, non la conosci? Non mi
stupisco… Tu non leggi mai, perché sei un somaro.»
Poi il viso della Cavendish divenne un punto interrogativo.
«Che succede alla mia zucca?» borbottò.
I quattro ragazzini si girarono. La lanterna di Halloween
emetteva una strana luce azzurrina pulsante. La veranda ora sembrava l’entrata
di un castello degli orrori popolato di fuochi fatui. I ragazzini si guardarono
negli occhi con sgomento.
«Davvero curioso – mormorò la donna – La leggenda dice che
la luce diventa azzurra quando uno spirito si avvicina alla casa. Oh, ma a che
punto eravamo arrivati, ragazzi miei?»
«Ehm… dolcetto o scherzetto?» strillarono i quattro in coro.
«Uhm, scelgo “dolcetto”.» esclamò la professoressa,
infilando le mani in un grande scrigno-teschio di plastica e distribuendo
caramelle alla zucca e dita di torrone ai suoi alunni. Loro li infilarono nella
borsa di carta che si erano portati da casa, tutti meno Samuel, che si era
messo a guardare come ipnotizzato la zucca bluastra. Sembrava non potesse più
staccarle gli occhi di dosso.
«La ringraziamo, signora ragn… Cavendish.» borbottò Corinne,
esibendosi in un sorriso così finto che sembrava di plastica.
«Arrivederci, ragazzi miei. E state attenti… La notte di
Halloween porta con sé molti misteri.» e con un ululato da spettro si rinfilò
in casa.
Il lupo mannaro, la strega, il vampiro e il fantasma
ridiscesero gli scalini della veranda con un misto di ansia e felicità. Avevano
finito il giro del quartiere e le loro borse di carta erano piene da scoppiare;
mancava poco che si strappassero, facendo cadere i loro dolci tesori nel fango.
Ciondolando dal sonno, i quattro si avviarono verso il cancello che separava il
giardino della professoressa dalla strada asfaltata. Ad un tratto Rufus si
afferrò la pancia e si piegò in due, mugolando di dolore.
«Merda…»
«Che succede?»
«Troppa cioccolata. D-devo andare a… beh… avete capito.»
Detto questo, lasciò cadere il suo
sacchetto a terra e si mise a correre verso la provvidenziale roccia che si
trovava nel giardino della Cavendish. Non appena si fu assicurato che gli altri
non potessero vederlo, si slacciò la cintura dei jeans. Dio, fa che non me la sia già fatta nelle mutande, pensò, mentre la
zip contrastava dispettosamente la spinta delle sue dita. Si era appena
abbassato i pantaloni oltre le ginocchia quando inciampò in qualcosa di duro,
che lo fece ruzzolare a terra. Rufus trattenne un gemito. Per un attimo gli era
sembrato…Allungò una mano e la toccò: era una gamba. Cominciò a risalire. Non
era affatto una di quelle gambe finte da giardino degli orrori, perché oltre al
ginocchio c’era la coscia e oltre la coscia una pancia. E oltre la pancia un
petto e poi un collo da ragazzino. Rufus gridò a squarciagola quando,
annaspando nel buio, toccò una faccia. Le sue dita avvertirono qualcosa di
bagnato e di appiccicoso.
«S-sangue.»
balbettò con un filo di voce.
«Rufus? Rufus? Tutto OK?»
Le voci erano quelle dei suoi tre compagni. Samuel, Joseph e
Corinne gli furono accanto in pochi secondi. Samuel era sempre più silenzioso,
come se la sua voce non potesse più superare la barriera del suo lenzuolo da
fantasma.
«Che puzza di merda.» ridacchiò Joseph. La risata gli morì
in gola quando Corinne, estratto il suo smartphone dotato di luce al LED, lo
indirizzò sul punto che Rufus continuava a indicare con mano tremante.
Gridarono tutti assieme e continuarono a gridare anche dopo, quando vennero
portati via in ambulanza.
Perché lì, nell’erba bagnata del giardino, c’era il corpo
accoltellato e coperto di sangue di Samuel.