Mi avevate dato per disperso? Rieccomi qui. Purtroppo da quando mi sono trasferito a Verona per frequentare la laurea magistrale in Editoria e Giornalismo ho avuto poco tempo per scrivere. Ma ce l'ho fatta! Ecco a voi Digital Life, che può essere letto anche sul mio profilo di 20Lines. Buona lettura
http://it.20lines.com/alvisebrugnolo
Sonia entrò in cucina e appoggiò le borse
della spesa sul tavolo della colazione. Poi aprì la porta del frigo e,
fischiettando, cominciò a riporre i suoi acquisti sui ripiani. Fischiettava
perché quella, a differenza di molte altre, era stata una giornata da vero
urlo. Era andato tutto al di là di ogni più rosea aspettativa. Si era svegliata
presto, piena di energia (non come al solito che non riusciva nemmeno a stare
in piedi) ed era scesa baldanzosa a prepararsi la colazione. Di solito,
soprattutto appena sveglia, combinava un sacco di pasticci: si rovesciava il
caffè addosso, le cadeva il sacchetto dei muesli sui piedi, o le finivano pezzi
di guscio d’uovo dentro l’omelette. Ma quel giorno no. E se un giorno comincia
bene, è molto probabile che continui così. E così era stato, oh sì.
Rufus, il suo fiero gatto soriano, le passò accanto,
strusciandosi contro le sue gambe. Sonia sorrise e lo accarezzò con affetto.
Sprizzava entusiasmo da tutti i pori. Se pensava a quello che era successo in
ufficio… non ci poteva ancora credere. Promossa! E che promozione!
Aveva sentito che c’era qualcosa nell’aria non appena aveva
messo piede in ufficio. Di solito i suoi colleghi la ignoravano, ma questa
volta le avevano sorriso. Connor, l’addetto alle fotocopiatrici, un ragazzotto
tutt’altro che insignificante, le aveva addirittura fatto l’occhiolino. Sonia
aveva finto di non accorgersene, ma sotto sotto si era emozionata ed era anche
un po’ arrossita. Si era appena seduta nel suo cubicolo dotato di una minuscola
scrivania, quando una voce profonda l’aveva scossa. Era John, il suo boss,
uscito dalla sua tana proprio per vedere lei.
“Vieni nel mio ufficio, Sonia. Ti devo parlare.”
Parlare? Quando mai mi
ha voluto parlare? si disse preoccupata la ragazza, mentre gli correva
dietro ondeggiando sui tacchi. Appena erano entrati, John aveva chiuso la porta
e le aveva fatto cenno di sedersi. Lei aveva obbedito, tossendo nervosamente e
mettendosi a guardare con imbarazzo (e con un pizzico di invidia) il gigantesco
ufficio in cui si trovava. Ovunque c’erano foto di famiglia e coppe di football
scintillanti. Davanti a lei fumava un caffè al ginseng. Il suo capo l’aveva
guardata, questa volta senza secondi fini o proposte oscene, e aveva
pronunciato le magiche parole:
“Hai lavorato bene, Sonia. Mi chiedevo se te la senti di
assumere un nuovo incarico.”
Accidenti! Sonia avrebbe potuto vincere i cento metri piani
da tanto era galvanizzata.
“Se me la sento? Ci può giurare, John. Sono la persona che fa
per lei.” aveva risposto. John aveva annuito. Stretta di mano e pacca sulla
spalla e Sonia era diventata ufficialmente la nuova manager responsabile del
reparto. Appena era uscita, tutto lo staff si era messo ad applaudirla, facendo
capannello attorno a lei. E Sonia, che di solito era timida, questa volta si
era goduta il suo successo, accettando di buon grado di salutare uno per uno i
suoi nuovi ammiratori. Presa dall’euforia, aveva persino invitato tutti a fare
un salto al bar ultra chic che si trovava lì all’angolo, dove aveva offerto,
senza badare a spese, un Cosmopolitan cocktail.
Ma le sorprese non erano finite qui. Aveva appena messo un
piede fuori dal palazzo, per la pausa pranzo, quando era incappata quasi per
caso in un signore che camminava con lo sguardo assorto puntato sul
marciapiede. Si erano urtati e a Sonia era sfuggita per terra la borsetta. Il
signore si era subito scusato, prodigandosi in mille attenzioni.
“Sono costernato. Mi perdoni…” aveva detto, inginocchiandosi principescamente
per recuperare il contenuto della borsetta, che nella caduta era rotolato
fuori. Poi lo sconosciuto si era rialzato e le aveva sorriso.
Non appena lo aveva visto in faccia, Sonia era raggelata.
“M-ma lei è il f-famoso regista O-oliver Cross!”
Lui aveva riso, facendo un inchino spiritoso e tenendo una
mano, che Sonia si era affrettata a stringere. Aveva una presa calda e sicura.
“In persona. – aveva risposto l’uomo con falsa modestia – Mi
scuso ancora per quello che è successo, ma ero davvero sconvolto. Ahimè, la
diva del mio prossimo film si è licenziata e ora sono davvero disperato. Inizio
le riprese fra meno di una settimana e non so proprio chi scritturare per la
parte…”
Ad un tratto si era ammutolito e aveva avvicinato il suo viso
a quello di Sonia.
“Ma sa che lei ha davvero… un bella presenza. Sì, sì… credo
ne parlerò con il produttore, ma sono proprio sicuro di aver trovato la
protagonista che cercavo.”
Sonia era arrossita per la seconda volta quel giorno.
“Ma cosa dice? Io non sono mica un’attrice professionista.”
“Ah, cara mia – aveva esclamato Oliver, battendosi una mano
sulla coscia – se sapesse quante attrici di fama mondiale non sanno recitare,
le verrebbe un capogiro.”
Si era frugato nella tasca della sua giacca firmata e aveva
tirato fuori un biglietto da visita a scritte dorate.
“Tenga. Ha un giorno per decidere. Mi raccomando!”
Detto questo si era voltato ed era sparito fra la folla.
Sonia era rimasta a bocca aperta e aveva continuato a leggere il biglietto da
visita anche mentre camminava, col rischio di finire dentro un tombino aperto. Attrice, io? si diceva fra sé e sé. Beh, perché no? Quante occasioni come questa capitano nella vita?
Alle 16.30 aveva finito il suo turno e, una volta salita in
automobile, aveva guidato fino al supermarket più vicino per far compere. Anche
lì era successo qualcosa di notevole: aveva vinto un buono spesa da 1000 euro e
un’incredibile SMART TV ultra full HD con schermo Amoled. Una cosa mai vista,
che sembrava un’astronave aliena da tanto era grande e colorata.
“Grazie, grazie!” aveva esclamato, mentre i cassieri le
davano una mano a caricare il suo premio dentro il minuscolo bagagliaio della
sua Smart. Nel tragitto verso casa non era successo alcunché di interessante,
tranne il fatto che al casello dell’autostrada si era rotta la cassa
computerizzata e così era passata senza dover spendere un centesimo. Che colpo
di fortuna!
Ed ora eccola lì, a preparare la cena, mentre Rufus
continuava a farle le fusa. Aveva in mente di cucinarsi una ratatouille e
mentre si adoperava a preparare tutto il necessario pensava che, una giornata
del genere, non le era mai capitata in tutta la sua vita.
Si era appena messa a tagliare le verdure alla julienne,
quando la porta di casa si aprì. Entrò un uomo, con una borsa a tracolla sulle
spalle. La depositò con uno sbuffo sul pavimento e si scrocchiò la schiena.
Sonia si lasciò sfuggire un grido.
“J-jack, che c-cosa ci fai qui?” mormorò con un filo di voce.
Jack finse di guardarsi attorno.
“Non ti ricordi più che sono tuo marito?” scherzò.
Sonia cominciò ad indietreggiare.
“Ma t-tu sei m-morto.”
“Ti sembro morto?” fece lui, avvicinandosi e cingendole i
fianchi con le mani.
“N-no, m-ma io so che t-tu lo sei.” balbettò lei.
E fu lì che accadde qualcosa di imprevisto.
I muri dell’appartamento cominciarono a sbiadire e a tremare.
I soffitti si abbassarono, il pavimento acquistò una strana tonalità verde
marcio. Il miagolio di Rufus si trasformò in un suono sordo e inumano, che
sovrastò tutto quanto. Sonia si mise a gridare mentre il mondo attorno a lei
cadeva a pezzi, mentre stringhe di comando in linguaggio di marcatura
schizzavano attorno a lei come spiritelli verdastri. Il viso sereno di Jack si
ridusse ad un cumulo di pixel e sotto di essi si poteva vedere lo scheletro. E
poi, una voce metallica risuonò forte nella testa di Sonia.
CRASH DEL SISTEMA
E poi tutto sparì in un’esplosione di luce bianca.
Sonia si agitò sul lettino del simulatore neurale. La mancava
il respiro. Si alzò di scatto, si tolse il visore e si strappò via gli
elettrodi dal seno. Poi si mise a sedere sul bordo del lettino, con la testa
fra le mani. Il responsabile della sua unità entrò subito, portandole un
bicchiere d’acqua gelata.
“Che è successo?” fece la donna, dopo che ebbe finito di bere
e di asciugarsi il sudore con un fazzoletto.
“Il simulatore ha registrato la sua paura e temendo per la
sua incolumità ha disattivato la simulazione, tutto qui. Sono cose che capitano.”
Sonia non la smetteva più di tremare.
“Ma io non mi r-ricordavo più…”
“… Di essere in una simulazione, già – la interruppe il
tecnico – Siamo la Omicron Corporation, cosa credeva? Le nostre simulazioni
sono le migliori, altro che quelle di Sony.”
“Allora io… – balbettò Sonia – mio marito…”
Il tecnico lesse attentamente la cartella che portava sotto
il braccio.
“Sì, suo marito è morto un anno fa, in un incidente stradale.
Lei ha espressamente chiesto ‘una simulazione della vita come la vorrei: con
successo, ricchezza e amore. E bellezza.’ Ricorda queste parole?”
Sonia cominciò a piangere. Se lo ricordava fin troppo bene e
per questo non riusciva a trattenere le lacrime. Il tecnico la guardava senza
espressione, come se fosse convinto che tutto quello che gli stava intorno era
anch’esso una simulazione, Sonia compresa.
“Vuole che la ricolleghi ancora? Ha diritto ancora a due ore
di ‘Digital Life’.” disse.
Sonia si guardò le mani. Erano davvero grassocce. Poi si
guardò la pancia. Sembrava un grosso mostro che cercava di uscirle dalla
maglietta. Cominciò a piangere ancora di più. Era ingrassata in un tempo record
dopo la morte di Jack. Aveva mangiato, mangiato e mangiato ancora, cercando
invano di sostituire l’affetto che aveva perduto con il cibo. E ora non sapeva
più se aveva la forza di tornare indietro.
Si voltò verso il tecnico, dopo aver tirato fuori dalla sua
borsetta un assegno e averlo firmato con una mano tremante.
“Tenga. Questi sono tutti i miei risparmi. Mi tenga collegata
a questa macchina per tutto il tempo possibile.”
L’assistente osservò la cifra sull’assegno. Non era molto, ma
sarebbe bastato per almeno due anni.
“Certo – rispose l’uomo con un sorriso esagerato – Noi della
Omicron realizziamo sempre i vostri sogni.”
Drammatico, ma magistralmente scritto !!!
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