“Guardate cosa succede
a chi si mette contro il nostro Re!” gridò il boia incappucciato,
spingendo Sknoll verso il bordo del patibolo. Le gambe del fuorilegge
non ressero e Sknoll cadde in ginocchio, con la testa reclinata sul
petto, penzolante. Dalla sua bocca colava un rivolo di sangue così
denso da sembrare nero.
L'avevano pestato,
torturato e gettato sul palco come un pezzo di carne. Eppure non
aveva emesso un lamento. E nemmeno adesso, di fronte all'ascia del
boia, così affilata da rivaleggiare con la falce del Mietitore, il
suo viso rifletteva alcun tipo di emozione. Era come se non la
temesse nemmeno la morte. Poteva perdersi d'animo un uomo convinto
che le sue idee sarebbe perdurate nei secoli, ben oltre la
putrefazione del suo cadavere in una fossa comune?
Gyk si mise una mano
sulla bocca, trattenendo a stento un moto di stizza e ripugnanza.
Accanto a lui, tutti piangevano, le lacrime salate essiccate sui loro
zigomi come tracce di calcare sul muro.
La piazza era silenziosa,
anche se il tendone del Circo era stato eretto e le sue bandiere
garrivano nel vento della sera. Gli artisti aspettavano a braccia
conserte al di fuori del tendone e i loro volti fieri rilucevano alla
luce delle lanterne che punteggiavano l'arena come rovi dati alle
fiamme. Anche loro erano impassibili e Gyk si sentì fragile e
inutile, un'anima dilaniata dai venti del destino.
La piazza, pur essendo
una della più grandi del regno, era occupata totalmente dalla folla
e dalle strutture innalzate per l'occasione. Sul lato sinistro
torreggiava il trono di Karid e il ceppo lurido sul quale la vita di
Sknoll sarebbe stata troncata. Sul lato destro, l'apertura del
tendone era pronta a fagocitare la folla come un gorgo oceanico.
Nel frattempo le guardie
avevano fatto rialzare Sknoll e il corpulento boia l'aveva fatto
chinare sul ceppo. Il collo nerboruto del condannato aderì
perfettamente all'incavo del legno come se quest'ultimo fosse stato
scolpito con la consapevolezza che proprio Sknoll, e nessun altro,
sarebbe passato sotto il suo giogo. E forse era veramente così,
sapendo quanto Karid aveva meditato e sognato quel giorno. Il
Tiranno, assiso sul trono e sporto leggermente in avanti, sembrava
anch'esso imperturbabile, ma era solo un'impressione, perché nel suo
cuore si agitava un furioso incendio. La brama di sangue lo
torturava, così come anche il desiderio di vedere la Ballerina.
Mancava poco ormai, solo il tempo necessario perché i tendini di
Sknoll cedessero alle lusinghe della lama.
Le narici di Gyk
fremettero. A stento riusciva a sopportare quello spettacolo. Il
ragazzo si voltò verso sinistra e i suoi occhi caddero su Tioben. Il
mercante di gioielli stava sorridendo. Fu un solo fugace,
impercettibile movimento delle labbra, ma Gyk lo scorse e ne fu
raccapricciato al limite del disgusto. Dunque Tioben era un uomo di
Karid, un lurido leccapiedi in vesti di seta. Gyk fece fatica a
trattenersi dal pugnalarlo alle spalle con il piccolo coltello che
usava per pulire il pesce. E pensare che Tioben era stato un uomo del
popolo, cresciuto in una topaia vicina a quella di Gyk. Poi aveva
dimostrato un intuito eccezionale per gli affari e si era arricchito,
diventando una delle poche eccezioni all'immobilità di Naarit. Il
suo nuovo ruolo doveva avergli dato alla testa e conservare il denaro
guadagnato era diventata la sua unica priorità, anche a costo di
venerare Karid come un idolo. Ma Tioben stava bene attento a non
rivelare la sua fedeltà, per paura di un inevitabile linciaggio. E
c'erano tanti uomini come lui. Tanti vecchi e nuovi ricchi che si
nascondevano tra la gente e ordivano trame per gonfiare i loro
patrimoni a dismisura, a discapito del popolo che moriva di stenti e
miseria. Erano loro la vera forza di Karid.
Un gesto del Tiranno e la
lama del boia calò con un colpo secco.
Un unico, corposo fiotto
di sangue schizzò dal collo amputato del fuorilegge. La testa di
Sknoll rotolò giù dal palco, per arrestarsi in una pozza di fango
con un suono liquido e spiacevole.
Non sembra più tanto
eroico con la barba inzaccherata di sangue e sterco di asino,
pensò Gyk scoppiando in lacrime. Karid si alzò di scatto dal trono
e strinse il pugno in segno di vittoria. In risposta, le guardie
batterono i loro pugni guantati sulle armature, suscitando un
frastuono sinistro. La folla non si mosse né protestò.
Era come se con
quell'unico colpo fosse stata tagliata la testa a tutto il popolo.