Ed eccovi la seconda parte del racconto. Meglio tardi che mai. Buona lettura!
Gyk si svegliò tardi
quel giorno. Era la prima volta da almeno quattro anni che poteva
permetterselo. Di solito si alzava presto, alle prime luci dell'alba,
per aiutare il padre nell'allestimento del bancone nella Piazza del
Mercato. La sua era una famiglia di onesti pescivendoli da
generazioni, e ne andavano molto fieri, se mai lo si poteva essere di
un'occupazione così umile. Era un lavoro duro e non pagava bene, ma
non avevano niente di meglio. E poi avevano imparato che a Naarit,
soprattutto da quando Karid aveva messo le radici sul suo trono
d'ebano, era meglio restare al proprio posto, senza tanti grilli per
la testa. Perché i sogni, si sa, potevano farti morire a Naarit. I
tentativi di crearsi un futuro migliore si pagavano spesso con la
disoccupazione. E la disoccupazione significava tortura e morte, in
quei tempi infausti, secondo le leggi di Naarit. Karid non tollerava
i parassiti, ma dimenticava che lui era il parassita più grosso di
tutti. Un colossale ratto dotato di scettro e di un'infinita
ingordigia.
Gyk si alzò con calma,
si stiracchiò e si lavò con l'acqua bollente di una pozza sull’orlo
della completa evaporazione a causa del sole cocente. Quel giorno il
ragazzo non aveva fretta. Quel giorno non c'era neppure il mercato, e
la piazza sembrava un cimitero immerso in un silenzio che andava
gonfiandosi come un bubbone pestilenziale. Quel giorno il Circo dei
Meccanici sarebbe arrivato in città e ci sarebbe stato da
divertirsi.
Gyk non stava più nella
pelle, così come tutti gli altri abitanti. Il ragazzo si era già
immaginato quello che sarebbe avvenuto, momento per momento: prima le
trombe, i tamburi ed i cimbali, poi le danzatrici del ventre e i
saltimbanchi in abiti viola e tintinnanti. Il tutto sotto una pioggia
di petali azzurri e coriandoli rossi come il sangue. Subito dopo,
ecco arrivare i mangiatori di fuoco e di spade con i loro muscoli
sfavillanti color miele e il loro indomito coraggio nell'ingoiare le
fiamme e il mortale acciaio delle spade. E per ultimi gli inventori,
tronfi sui loro baldacchini trasportati da servi meccanici e
cigolanti, macchine meravigliose che non provavano fatica e non
avevano bisogno di fermarsi per bere o riposare all'ombra dei
sicomori.
E per ultima Lei.
Gyk sussultò e il suo
viso si accese di un rosso intenso. Quasi non riusciva a crederci, ma
quello stesso giorno l’avrebbe vista ballare. L’avrebbe vista
volteggiare e fare perno sopra una gamba perfetta e liscia come
bronzo, mentre teneva l’altra alzata fino a toccarsi la nuca con le
piccole e regolari dita dei piedi. I suoi capelli d’oro avrebbero
luccicato e turbinato come una cascata di gioielli lanciati dalle
finestre dei palazzi, per il giubilo del popolo.
Gyk sospirò. Era già
follemente innamorato della Ballerina Meccanica. E come lui tutti gli
altri giovani di Naarit. E anche Karid, curvo sul proprio scranno
come un vecchio corvo in attesa di un corpo fresco da beccare, si
sentiva bruciare come un giovane ventenne di fronte alla prospettiva
delle cosce vellutate di quella splendida e artificiale meretrice,
della quale aveva ascoltato le lodi grazie agli ambasciatori che
quotidianamente gli riferivano gli ultimi avvenimenti del suo vasto e
desertico regno.
Gyk era entusiasta, ma
provava anche un'incontenibile paura. Temeva che una cosa così bella
non sarebbe mai potuta sopravvivere nel regime venefico e arido di
Karid. Era quasi certo che il Tiranno l'avrebbe ghermita e segregata
nel palazzo per il suo personale godimento, togliendola per sempre
agli occhi degli altri, poveri, meschini mortali. Gyk ripensò a
Sknoll e alla sua promessa. Pur avendo da poco compiuto sedici anni,
ricordava ancora il putiferio suscitato dalla sua fuga e il messaggio
che l'evaso aveva lanciato con una freccia sulla porta colossale del
palazzo:“Tornerò e reclamerò la tua testa, Karid. Per la
libertà e il popolo di Naarit”. Eppure,
da quel lontano giorno di dieci anni prima, il fuorilegge non si era
più fatto vivo. E dopo le severe norme di sicurezza e il
raddoppiamento del servizio di guardia, la speranza che il fuorilegge
riuscisse nel suo intento di trucidare il despota era naufragata e
languiva nel cuore degli abitanti. Ma la notizia che le porte della
città sarebbero state nuovamente aperte, aveva riacceso gli animi
come una fiamma liberata dal bicchiere che stava soffocando la sua
luce. Forse Sknoll stava solo attendendo un'occasione come questa per
intrufolarsi in città, sostenevano alcuni. Altri però, i più
disillusi, erano certi che il fuorilegge si fosse dimenticato della
promessa e stesse trascorrendo la sua esistenza in un infimo bordello
di qualche regno settentrionale.
Con questi pensieri Gyk
raggiunse la piazza principale, che sorgeva poco distante da quella
del mercato, dove venne accolto dalle grida della folla che si era
radunata in attesa che giungessero notizie certe sull'ora in cui il
circo si sarebbe profilato all'orizzonte.
Ma chi poteva dire con
certezza quando sarebbe arrivato il carrozzone a vapore del Circo?
“Alle sette di sera”
gridavano alcuni.
“No alle tre del
pomeriggio!” ululavano altri.
“Idioti, lo sanno tutti
che si faranno vivi già dalle nove della mattina!” rispondevano
altri.
E si scatenavano risse e
litigi ad ogni angolo della città, pestaggi furibondi che si
acquietavano solo quando i lottatori scorgevano in lontananza i pennacchi color cremisi dei soldati di Karid, venuti a ristabilire
l'ordine a suon di randello.
Ma così come tutte le
cose belle sono impossibili da prevedere, il Circo giunse quando meno
gli abitanti se lo aspettavano. Arrivò durante l’ora del pranzo,
quando il sole era rovente e gli uomini si sentivano come montoni
infilzati sullo spiedo e fatti girare sopra un grande falò. Dai
merli delle mura ciclopiche e color dell'arenaria, le sentinelle
videro una nube di polvere alzarsi da nord, come se un furibondo
gigante si fosse messo a pestare i piedi nel tentativo di spiaccicare
un elefante che aveva avuto l’ardire di abbeverarsi al suo stagno
privato. Era la carovana, che si avvicinava alla città strisciando e sollevando la sabbia in mille mulinelli.
Ma nessuno guardò il
carrozzone, le sue ciminiere fumanti, i suoi pistoni e le sue ruote
cingolate che ruggivano come fiere della savana e rilucevano al sole.
Perché in quello stesso momento giunse trafelato il pingue Leorid,
l'eunuco che lavorava all'interno del palazzo e che era l'unico
tramite tra il popolo e gli intrighi della corte. Arrivò ansimando e
piangendo.
“Che gli dei siano
dannati. – gridò – Karid ha fatto perquisire il circo a dieci
leghe da qui e ha trovato Sknoll. Si era mescolato tra gli artisti,
ma i soldati l'hanno riconosciuto. Lo decapiteranno stasera, prima
dell'inizio dello spettacolo!”
E tutto il popolo guaì e
si disperò, perché la speranza era morta una seconda volta.
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