Igor e Selena si guardarono fissamente, in silenzio; poi, mano nella mano, raggiunsero il gigantesco portale. Entrarono, circondati da un silenzio sempre più potente, qualcosa che era possibile solo in un luogo di culto dimenticato dal tempo e da quasi tutto il resto del mondo. Scesero una lunga scalinata che si inabissava nell'oscurità, e l'umidità che traspirava dai muri era tale che la speranza di entrambi fu come se annegasse, trascinata verso fondali tenebrosi senza alcuna possibilità di riemergere.
La
colazione, la mattina dopo, fu un vero trauma. Selena non aveva dormito tutta
la notte e i suoi occhi erano contornati da un viola che ricordava il
colore del mare in tempesta. La locanda era inondata dal pallido sole
mattutino, una luce fredda, in grado di far rabbrividire chiunque, eccetto chi
viveva lì da sempre e si presentava puntuale, ogni mattina, al proprio tavolo.
Igor si guardava attorno confusamente. L'affabilità degli
abitanti di Windsmouth era sconcertante. Non sembravano affatto colpiti dal
fatto che i coniugi Melville avessero cercato di scappare, per giunta
appiccando un incendio alla loro amata e incontaminata isola. Fu lì che Igor si
rese davvero conto che i cittadini, Ian Stone primo fra tutti, non erano umani.
O almeno non lo erano pienamente.
«Siamo prigionieri.» esclamò di punto in bianco Selena.
Igor mandò giù una sorsata di caffè nero bollente, col rischio di bruciarsi la
gola e lo stomaco. Tossì.
«No, amore mio. Non siamo affatto prigionieri. Siamo solo
bloccati per via del vento e della nebbia. Non c'è niente che non vada…»
ribatté, cercando di convincere anche se stesso. Per quanto si sforzasse non ci
riuscì.
«Certo che lo siamo, Igor! O ti sei dimenticato quello che
è successo ieri sera?» sussurrò la donna, faticando a mantenersi calma. Igor
non ci provò neppure: si alzò in piedi, rovesciandosi la colazione sui
pantaloni. Jim, il cuoco, li guardò in tralice, l'espressione fissa e
immutabile, quasi non li considerasse persone vere, ma sbuffi di fumo, immagini
fugaci fatte di nebbia e perciò destinate a sparire da un momento all'altro.
«Non ho dimenticato, solo che... Ci deve essere una
spiegazione razion...»
«Oh, tu e le tue spiegazioni razionali! – lo interruppe
Selena, i capelli scarmigliati come una strega delle fiabe – L'isola non ci
lascia andare. Il mare, non ci lascia andare.»
«No, Selena. Sai che non credo a queste cose, non io, che
ho vissuto per tredici anni con una madre psicopatica! Credeva a tutto, persino
ai maghi delle televendite, Santo Dio. Quando avevo dodici anni mi ha portato a
farmi leggere la mano. Sarei dovuto morire di tumore l'anno successivo, ma è
stata lei a morire, suicidandosi con la cravatta di papà. Ecco cosa penso del
paranormale: sono solo cumuli di stronzate! Ora ascoltami bene, Selena. Siamo
soltanto scossi per quello che ci è successo: prima la tempesta, poi l'incidente
di quel povero ragazzo. Non c'è da stupirsi se crediamo di vedere cose che non
ci sono.»
«Smettila, Igor. So benissimo che mi stai dicendo queste
cose per proteggermi. Ma io non sono una bambina. E nemmeno tu.» lo aggredì
Selena. Questa volta l'intero locale si voltò a guardarli. Sorridevano tutti,
in un modo che metteva paura. Igor accusò il colpo. Doveva ancora abituarsi al
fatto che la moglie lo conoscesse nell'intimo più di se stesso.
«E va bene. Hai ragione tu. Quest'isola è maledetta dal
demonio.» bofonchiò l'uomo, mordendosi il labbro fino a farselo sanguinare. «Ma
ora che l'abbiamo appurato, siamo punto e a capo, o sbaglio?»
Selena abbassò la testa, immergendo lo sguardo nel dolce di
amarene che il cuoco aveva appena portato loro su due piatti di ceramica a
motivi floreali. Era tutto così perfetto, così zuccheroso e falso da dare la
nausea.
«Andiamo via di qui, o rischio di impazzire.» sibilò la
donna. Si alzarono, dirigendosi verso la porta, un rettangolo da cui si poteva
distinguere la nebbia sospesa sulla linea verdastra del mare. Rose Scott li
chiamò dal fondo della sala, ansando nel tentativo di raggiungerli.
«Ve ne andate già? Il nostro gruppo locale ha composto una
nuova canzone e fra poco...»
«Stai zitta, brutta vecchia del cazzo!» le gridò Selena,
trascinandosi dietro Igor. Mentre uscivano, sentirono gli sguardi della locanda
su di loro. Bruciavano.
Appena furono all'aria aperta, la donna si mise a correre e
Igor la seguì, il vento odioso che gridava nelle loro orecchie cercando di
assordarli. Corsero a perdifiato lungo l'acciottolato irregolare del villaggio
senza voltarsi mai indietro, finché il paesino scomparve dietro la sagoma verde
pastello di una tozza collina. Igor aveva il fiato corto. I miei
quarant'anni cominciano a farsi sentire, pensò l'uomo, e si scoprì
terrorizzato più dalla vecchiaia che dall'isola stessa, dal suo mare bigio e
dai suoi spettri di vento e nebbia.
«Perché ti sei messa a correre, Cristo Santo?» domandò alla
moglie.
«Scappavo nel caso ci stessero inseguendo.»
Igor si appoggiò ad un albero, stremato.
«Inseguendo? Che cazzo dici, Selena? Siamo su un'isola,
non a Birmingham! Non hanno bisogno di inseguirci. Windsmouth è una prigione senza
sbarre.»
Selena si trattenne dal riempirlo di insulti, cosa che
faceva sempre quando il marito esplodeva in uno dei suoi tanti momenti no.
«Scusami.» gli disse invece. Igor, dopo un attimo di esitazione, le si avvicinò
e la abbracciò.
«Scusami tu. Non sono l'uomo più facile con cui stare, lo
so. Devo essere stato una costante delusione per te.»
«Oh, Igor. Non dirlo neppure per scherzo.» rispose lei,
avvicinandogli il viso. Si baciarono, lasciando che il male dell'isola
bussasse, invano, alle mura del loro sentimento. Suggellarono la promessa fatta
dieci anni prima con la firma di un bacio, le loro labbra divenute piume d'oca
e la loro saliva inchiostro.
«Ti ho sempre amata, Selena. – confessò Igor, non riuscendo
a trattenere le lacrime – Ma sono un egoista, un uomo senza spina dorsale. Non
ho fatto altro che guardare alla mia felicità trascurando la tua. Perdonami.»
«Amore mio, ho anche io tante cose da
farmi perdonare. – rispose lei, scoppiando a piangere – Ho sempre dato per
scontato tutto, il tuo affetto, le tue attenzioni, la tua semplice presenza.
Non mi sono mai interessata davvero alle tue esigenze, a quello che provavi
dentro di te. È questa società che è malata, Igor. Per loro, solo noi donne
possiamo provare sentimenti o piangere o sognare. Ci hanno insegnato fin da
bambine che siamo noi quelle che devono essere ascoltate, noi quelle che devono
essere protette e custodite. Ma questa è una menzogna. Tutti devono essere
ascoltati, protetti, custoditi. Siamo nati uguali e sempre lo saremo. Non sono migliore
di te, Igor. Sono un'egoista anch'io.»
Si baciarono ancora, la musica opprimente che usciva dalla
locanda di Windsmouth soffocata da un sinfonia più forte, il tumulto dei loro
cuori che risuonavano all'unisono. Il viso affondato nei capelli d'oro della
moglie, Igor Melville si sentì, per la prima volta, parte di lei. Era come se le loro anime
fossero connesse in un eterno abbraccio: i battiti di Selena erano i suoi, i
sentimenti della donna erano i suoi, le sue gioie, i suoi dolori, i suoi
sogni... condividevano tutto, anche l'anima. Che altro poteva essere se non
amore, la forza più potente del mondo?
Smisero
di baciarsi e osservarono il mare piatto e poi, più oltre, la cortina di nebbia
che copriva l'orizzonte come la tela di un gigantesco ragno divoratore di
uomini.
«Lasceremo
questo posto. Ad ogni costo.» le promise Igor.
«Sai
che non possiamo tirarci indietro. – rispose lei, il viso serio di chi sa già
dove lo porterà il destino – Sai che dobbiamo cercare quel pozzo.»
«Il
pozzo temete.» ripeté a voce alta Igor, rivedendo distintamente, come se li
avesse ancora davanti agli occhi, la pietra nera, il cadavere di Edward e la
scritta fatta col sangue fresco, le cui lettere, nella sua memoria,
continuavano a colare, colare e colare.
Il
pozzo temete.
La
frase continuava a pulsare nelle menti dei coniugi Melville mentre cercavano,
in ogni piazza, vicolo e cortile di Windsmouth qualcosa che assomigliasse ad un
pozzo. Trovarono panchine, statue, fontane, vasi e caminetti esterni, persino
lo scheletro muschioso di una polena da vascello, ma di una cisterna neppure
l'ombra. Igor rimase qualche minuto ad osservare la statua di legno che un
tempo doveva abbellire uno schooner o una goletta, e che ora era appesa come un
trofeo sopra la porta di una vecchia cascina mezza crollata.
«Questa
apparteneva alla Denied Victory, ne sono quasi sicuro.»
«Denied
Victory?» chiese Selena.
«Una
nave utilizzata nella guerra di corsa ai tempi di Sir Francis Drake. Mio padre
era un appassionato di navi e tra le tante cose che mi ha lasciato, esclusi i
creditori e mia madre, c'era un'intera biblioteca sulla storia del mare. La
scomparsa della Denied è uno dei tanti misteri ancora irrisolti nella
storia della navigazione.»
«E
cosa ci fa qui?»
Igor
scosse la testa.
«Non
lo immagini? Quest'isola è... è una trappola. Inghiotte le navi come un mostro
famelico, una fottuta Moby Dick.»
«Ma
cosa voleva Windsmouth da quella gente. Cosa vuole da noi?»
«Questo
non lo so. Forse il pozzo potrà darci le risposte che cerchiamo.» rispose Igor,
dubbioso.
Fu
verso l'ora di pranzo che i coniugi Melville trovarono una traccia: una strada
che si dipanava come una matassa verso la fine del villaggio, lungo il lato
ovest dell'isola. Si perdeva lontano, oltre una foresta di faggi dall'aspetto
cupo e sepolcrale. Rispetto alle altre viuzze del paese, in ciottolato o in
semplice terra battuta, questa era lastricata seguendo il sistema romano, una
fossa coperta alla base da sabbia e poi da sassi via via sempre più piccoli,
fino all'ultimo strato, costituito da lastre piatte poste in modo da far
defluire l'acqua piovana ai bordi della strada, così che non ristagnasse al
centro.
«È
curioso che ci sia una strada romana qui. – rifletté Igor – Di certo l'impero
non costruiva strade inutilmente, non su un'isola che non portava a nulla. A
meno che...»
«A
meno che?» gli chiese Selena, gli occhi sgranati di una bambina spaurita.
«A
meno che non conduca ad un santuario.» concluse l'uomo, mentre un brivido gli
correva lungo la spina dorsale. Aveva sempre provato un muto rispetto per le
antiche civiltà, i loro templi, le loro colonne. I loro dèi. Secoli e secoli di
storia che lo facevano sentire una nullità in confronto all'eterno incedere del
tempo.
A
passi incerti sulle pietre rese scivolose dalla piovosità del luogo, i coniugi
Melville intrapresero il cammino segnalato dalla via lastricata. Oltrepassarono
due ponti costituiti da sei archi, entrambi a strapiombo sul mare: l'isola
infatti non era una terra unica, ma era frammentata, verso la parte ad ovest,
in una decina di isole più piccole. La strada, sinuosamente, collegava il corpo
dell'isola principale a due di questi atolli, i più grandi, mentre i più
piccoli sembravano irraggiungibili via terra.
Verso
le tre del pomeriggio, i coniugi Melville si immersero con un brivido nella
foresta di faggi, densa di lunghe ombre perché il sole, già velato di nuvole,
faceva fatica a farsi largo fra i rami. La strada, in parte coperta dalle
foglie e dal fango appiccicaticcio, quasi sanguigno, del bosco, era più
difficile da seguire e per ben tre volte Igor e Selena rischiarono di perdersi,
o di finire sfracellati in un burrone apparso a tradimento dietro siepi di
biancospino.
Il
silenzio della foresta, si rese conto la donna, era irreale. Non si sentiva
nulla, neppure gli squittii vivaci degli scoiattoli rossi. Neppure il suono
delle gocce d'acqua sulla roccia o lo stormire delle foglie mosse dal vento che
veniva dal mare. Era tutto così silenzioso che i rametti calpestati risuonavano
come colpi di fucile, mentre il respiro dei due, irregolare per via della
tensione, sembrava più forte del vento di tempesta che aveva quasi affondato la
Blue dolphin.
«Ho
paura.» sussurrò la donna.
«Anch'io.»
rispose Igor, cercando di sorriderle, ma era un sorriso insicuro, pronto a
spegnersi al primo soffio di vento.
Ed
ecco la foresta farsi sempre più rada fino a sparire, sostituita da tenebrose
colline coperte di cardi e belladonna. Non fu tuttavia la natura a catturare lo
sguardo dei coniugi Melville, bensì le rovine di un antico tempio romano,
conservatosi perfettamente nei secoli come se fosse stato oggetto di continui e
puntuali lavori di restauro. Le sue colonne, ciclopiche, erano bianche come
braccia di scheletri infilzate nel terreno, mentre il suo timpano, grande,
colossale, gigantesco portava al centro un simbolo inquietante, un unico occhio
attorniato da contorti tentacoli di piovra. Appena lo vide, Igor Melville si
strinse a Selena.
«Ecco...
ci siamo.»
«Sì,
ma a cosa?» ribatté la donna, incapace di smettere di tremare. Si sentiva le
gambe di gelatina e la testa stretta in una morsa.
«A
qualcosa di grosso. Di davvero grosso.» borbottò Igor, indeciso se scoppiare a
ridere in modo dissennato o piangere, rannicchiandosi sull'erba con un dito in
bocca come un poppante terrorizzato dal temporale.
«Igor...»
«Sto
bene, sto bene.» rispose lui, anche se non era vero. Il silenzio della vallata
gli riempiva il cuore di angoscia ed era un'angoscia mai provata prima, di un
colore quasi grigio, se mai le sensazioni possano avere un colore. Nessuna
difficoltà che aveva incontrato in tutta la sua vita poteva essere paragonabile
a questa, neppure la morte improvvisa del padre o quella di sua madre. Neppure
la prospettiva di restare solo o di vedersi invecchiare poco a poco, ogni
giorno di più.
Un
movimento improvviso fra le colline li fece voltare. Una lunga processione di
figure incappucciate si stava dirigendo verso la scalinata del tempio.
Camminavano a testa china, uno dietro l'altro, come se non avessero bisogno di
vedere dove li stavano portando i propri passi o come se non fossero loro a
dirigersi verso il tempio, ma piuttosto il tempio stesso a chiamarli a sé,
aiutato dal vento che passava lugubre sopra l'erba grigiastra delle colline.
Anche se erano lontani, Igor riconobbe l'andatura zoppicante di Ian Stone e la
magrezza eccessiva di Rose Scott. Erano loro due a guidare il corteo.
«Eccoli
lì, quei bastardi.» ruggì Igor, col rischio di farsi sentire fino a Birmingham.
Selena lo trascinò dietro ad una roccia, imprecando selvaggiamente.
«Non
ci hanno sentito, tranquilla.» rispose lui, dopo aver fatto capolino fra
l'erba. La processione era sparita nel nulla, inghiottita da quel colonnato
antico quanto il popolo che l'aveva costruito.
Igor e
Selena si guardarono fissamente, in silenzio; poi, mano nella mano, raggiunsero
il gigantesco portale. Entrarono, circondati da un silenzio sempre più potente,
qualcosa che era possibile solo in un luogo di culto dimenticato dal tempo e da
quasi tutto il resto del mondo. Scesero una lunga scalinata che si inabissava
nell'oscurità, e l'umidità che traspirava dai muri era tale che la speranza di
entrambi fu come se annegasse, trascinata verso fondali tenebrosi senza alcuna
possibilità di riemergere.
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