martedì 18 agosto 2015

Evelyn

La porta si chiude e io sono di nuovo solo, con un ombrello in meno.
Mi accendo una seconda sigaretta e me la fumo in silenzio, con gli occhi fissi sulla finestra chiusa. Se mi sforzo riesco ancora a vederla, Evelyn, l’ombra che vorrei sempre vedere al mio fianco. Ti sei spogliata davanti a me, Evy, come hai fatto con mille altri uomini, ma non ti sei tolta solo i vestiti, no. Mi hai rivelato la tua profonda intimità, quella che hai sempre cercato di nascondere. C’è una fiamma dentro di te, Evelyn, io lo so.






Evelyn.
Indossa la sue calze scure, quelle che mi fanno impazzire, poi si alza dal letto. Si avvicina alla finestra, le sue natiche sode che ondeggiano ipnoticamente, lisce come due pesche appena colte.
«Non dobbiamo vederci più, Riccardo.»
Io rimango seduto, fumo la mia sigaretta e la guardo. Non dico una parola. E a che servirebbe? Lei ormai ha deciso. Evelyn non ha padroni. Evelyn sa quello che vuole e lo ottiene. Ma mentre lo dice le sue labbra tremano. So che vorrebbe continuare a vedermi, glielo leggo nella postura del corpo, fragile, mentre si allunga a spiare la strada oltre la tapparella socchiusa.
«Tutto quello che vuoi, Evy.»
Sussulta. Ama sentirsi chiamare così e io sono l’unico ad avere scoperto questo suo piccolo segreto.
A volte glielo sussurro mentre facciamo l’amore e la sento tremare. Chissà che cosa le riaccende quel nome, quali ricordi e quali sensazioni le ravviva. A volte vorrei essere lei, entrare dentro il suo corpo, non visto, e provare i suoi sentimenti, la gioia, il dolore, la paura… l’amore. Evelyn, vorrei vivere in te per sempre.
«Piove.» osserva lei. Nel frattempo ha indossato gonna e giacca. Sono vestiti qualsiasi, ma su di lei… Evelyn, sei l’unica vera donna con cui abbia mai giaciuto. Le altre… Dio… in confronto a te sono involucri vuoti, menzogne tenute in piedi da luoghi comuni, cliché e tacchi troppo alti.
«Prendi un ombrello, o ti bagnerai» le dico, indicandole il portaombrelli vicino alla porta. Lei si lascia sfuggire un sorriso, poi il suo viso si rabbuia. È confusa. Non resta mai con un uomo abbastanza a lungo da conoscerlo. Ma io sono un uomo semplice. Conoscermi è fin troppo facile.
Evelyn tentenna. Qualcosa, dentro di lei, combatte il suo naturale istinto alla solitudine. Evelyn, sei una lupa solitaria, lo so. Ma anche io sono come te. Potremmo vagare per la città insieme e al diavolo tutto il resto. Io e te nella nebbia della società contemporanea, persi nelle foreste d’auto e sulle cime dei grattacieli. Resta con me. Oh, Evelyn.
La sigaretta mi brucia le dita. La lascio cadere nel bicchiere, dove divampa al contatto con poche gocce di vodka rimaste sul fondo, poi si spegne. È tempo degli addii.
«Be’, stammi bene, Riccardo.» fa lei, avvicinandosi alla porta.
«Anche tu, Evy.»
Sembra fredda, una dama di ghiaccio, ma io ho toccato il suo calore. C’è una fiamma dentro di te, Evelyn, io lo so. E brucia per me.
La porta si chiude e io sono di nuovo solo, con un ombrello in meno.
Mi accendo una seconda sigaretta e me la fumo in silenzio, con gli occhi fissi sulla finestra chiusa. Se mi sforzo riesco ancora a vederla, Evelyn, l’ombra che vorrei sempre vedere al mio fianco. Ti sei spogliata davanti a me, Evy, come hai fatto con mille altri uomini, ma non ti sei tolta solo i vestiti, no. Mi hai rivelato la tua profonda intimità, quella che hai sempre cercato di nascondere. C’è una fiamma dentro di te, Evelyn, io lo so.
Un rumore sull’impiantito dell’ingresso attira la mia attenzione. Qualcuno bussa alla porta, risolutamente. Chi potrebbe essere a quest’ora? Per un attimo, illuso che sono, sono convinto che possa essere lei. Ma Evelyn non tornerebbe indietro, contraddire le proprie scelte minerebbe il suo stesso essere, la farebbe diventare come tutte le altre. Sarebbe un crimine.
Mi alzo, incerto, e barcollo verso la porta; lo strascico della sbornia mi fa desiderare di essere morto. Apro la porta, e getto lo sguardo nel buio della scala condominiale.
C’è un uomo in piedi nell’ombra. Non l’ho mai visto prima. Un’espressione di risentimento, forse di odio, è dipinta sul suo volto.
«Tu – mi grida – tu mi hai rubato Evelyn! La pagherai!»
Non faccio in tempo a rispondergli che è un illuso se crede che Evy sia mai stata di qualcuno, che lei è libera come l’aria che un dolore lancinante mi paralizza il corpo. La figura buia si dilegua e io rimango solo, con la mano attorcigliata sul manico di un coltello a scatto. Mi ha colpito per bene il bastardo. Il sangue scorre copioso fra le dita delle mie mani. Indietreggio e richiudo la porta alle mie spalle, come se non fosse accaduto niente di più che una lite condominiale. Una tranquillità innaturale invade il mio corpo. Oh, so di avere i minuti contati ma non ho rimpianti. Ho conosciuto il cuore di Evelyn, l’intimo recesso della sua anima e so che nulla avrebbe più un senso dopo il nostro addio di oggi. Mi accendo una terza sigaretta, la trattengo a stento fra le mie mani, e zoppico fino al terrazzo. Una striscia di sangue, come un’ombra rossa, mi segue.
La città è bellissima sotto quel velo di pioggia. Mi siedo sullo sdraio e la osservo. Nella luce evanescente dei lampioni centinaia di ombrelli neri sfilano rapidi per la via, strattonati dal vento ottuso di ottobre. Sotto uno di quelli potrebbe esserci lei. Evelyn, piccolo angelo nero, promessa non realizzata di felicità. Lentamente chiudo gli occhi e lascio che il sonno cali su di me come un’onda. L’ultimo pensiero, l’ultimo briciolo di umanità, lo dedico a lei.
Evelyn, vorrei vivere in te per sempre. 



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