La porta si chiude e io sono di nuovo solo, con un ombrello in meno.
Mi accendo una seconda sigaretta e me la fumo in silenzio, con gli occhi fissi sulla finestra chiusa. Se mi sforzo riesco ancora a vederla, Evelyn, l’ombra che vorrei sempre vedere al mio fianco. Ti sei spogliata davanti a me, Evy, come hai fatto con mille altri uomini, ma non ti sei tolta solo i vestiti, no. Mi hai rivelato la tua profonda intimità, quella che hai sempre cercato di nascondere. C’è una fiamma dentro di te, Evelyn, io lo so.
Evelyn.
Indossa la sue calze scure,
quelle che mi fanno impazzire, poi si alza dal letto. Si avvicina alla
finestra, le sue natiche sode che ondeggiano ipnoticamente, lisce come due
pesche appena colte.
«Non dobbiamo vederci più,
Riccardo.»
Io rimango seduto, fumo la mia
sigaretta e la guardo. Non dico una parola. E a che servirebbe? Lei ormai ha
deciso. Evelyn non ha padroni. Evelyn sa quello che vuole e lo ottiene. Ma
mentre lo dice le sue labbra tremano. So che vorrebbe continuare a vedermi,
glielo leggo nella postura del corpo, fragile, mentre si allunga a spiare la
strada oltre la tapparella socchiusa.
«Tutto quello che vuoi, Evy.»
Sussulta. Ama sentirsi chiamare
così e io sono l’unico ad avere scoperto questo suo piccolo segreto.
A volte glielo sussurro mentre
facciamo l’amore e la sento tremare. Chissà che cosa le riaccende quel nome,
quali ricordi e quali sensazioni le ravviva. A volte vorrei essere lei, entrare
dentro il suo corpo, non visto, e provare i suoi sentimenti, la gioia, il
dolore, la paura… l’amore. Evelyn, vorrei vivere in te per sempre.
«Piove.» osserva lei. Nel
frattempo ha indossato gonna e giacca. Sono vestiti qualsiasi, ma su di lei…
Evelyn, sei l’unica vera donna con cui abbia mai giaciuto. Le altre… Dio… in
confronto a te sono involucri vuoti, menzogne tenute in piedi da luoghi comuni,
cliché e tacchi troppo alti.
«Prendi un ombrello, o ti
bagnerai» le dico, indicandole il portaombrelli vicino alla porta. Lei si
lascia sfuggire un sorriso, poi il suo viso si rabbuia. È confusa. Non resta
mai con un uomo abbastanza a lungo da conoscerlo. Ma io sono un uomo semplice.
Conoscermi è fin troppo facile.
Evelyn tentenna. Qualcosa,
dentro di lei, combatte il suo naturale istinto alla solitudine. Evelyn, sei
una lupa solitaria, lo so. Ma anche io sono come te. Potremmo vagare per la
città insieme e al diavolo tutto il resto. Io e te nella nebbia della società
contemporanea, persi nelle foreste d’auto e sulle cime dei grattacieli. Resta
con me. Oh, Evelyn.
La sigaretta mi brucia le dita.
La lascio cadere nel bicchiere, dove divampa al contatto con poche gocce di
vodka rimaste sul fondo, poi si spegne. È tempo degli addii.
«Be’, stammi bene, Riccardo.» fa
lei, avvicinandosi alla porta.
«Anche tu, Evy.»
Sembra fredda, una dama di
ghiaccio, ma io ho toccato il suo calore. C’è una fiamma dentro di te, Evelyn,
io lo so. E brucia per me.
La porta si chiude e io sono di
nuovo solo, con un ombrello in meno.
Mi accendo una seconda sigaretta
e me la fumo in silenzio, con gli occhi fissi sulla finestra chiusa. Se mi
sforzo riesco ancora a vederla, Evelyn, l’ombra che vorrei sempre vedere al mio
fianco. Ti sei spogliata davanti a me, Evy, come hai fatto con mille altri
uomini, ma non ti sei tolta solo i vestiti, no. Mi hai rivelato la tua profonda
intimità, quella che hai sempre cercato di nascondere. C’è una fiamma dentro di
te, Evelyn, io lo so.
Un rumore sull’impiantito
dell’ingresso attira la mia attenzione. Qualcuno bussa alla porta,
risolutamente. Chi potrebbe essere a quest’ora? Per un attimo, illuso che sono,
sono convinto che possa essere lei. Ma Evelyn non tornerebbe indietro,
contraddire le proprie scelte minerebbe il suo stesso essere, la farebbe diventare
come tutte le altre. Sarebbe un crimine.
Mi alzo, incerto, e barcollo
verso la porta; lo strascico della sbornia mi fa desiderare di essere morto.
Apro la porta, e getto lo sguardo nel buio della scala condominiale.
C’è un uomo in piedi nell’ombra.
Non l’ho mai visto prima. Un’espressione di risentimento, forse di odio, è
dipinta sul suo volto.
«Tu – mi grida – tu mi hai
rubato Evelyn! La pagherai!»
Non faccio in tempo a
rispondergli che è un illuso se crede che Evy sia mai stata di qualcuno, che
lei è libera come l’aria che un dolore lancinante mi paralizza il corpo. La
figura buia si dilegua e io rimango solo, con la mano attorcigliata sul manico
di un coltello a scatto. Mi ha colpito per bene il bastardo. Il sangue scorre
copioso fra le dita delle mie mani. Indietreggio e richiudo la porta alle mie
spalle, come se non fosse accaduto niente di più che una lite condominiale. Una
tranquillità innaturale invade il mio corpo. Oh, so di avere i minuti contati
ma non ho rimpianti. Ho conosciuto il cuore di Evelyn, l’intimo recesso della
sua anima e so che nulla avrebbe più un senso dopo il nostro addio di oggi. Mi
accendo una terza sigaretta, la trattengo a stento fra le mie mani, e zoppico
fino al terrazzo. Una striscia di sangue, come un’ombra rossa, mi segue.
La città è bellissima sotto quel
velo di pioggia. Mi siedo sullo sdraio e la osservo. Nella luce evanescente dei
lampioni centinaia di ombrelli neri sfilano rapidi per la via, strattonati dal
vento ottuso di ottobre. Sotto uno di quelli potrebbe esserci lei. Evelyn, piccolo
angelo nero, promessa non realizzata di felicità. Lentamente chiudo gli occhi e
lascio che il sonno cali su di me come un’onda. L’ultimo pensiero, l’ultimo
briciolo di umanità, lo dedico a lei.
Evelyn, vorrei vivere in te per
sempre.
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