Un breve racconto del terrore, buio come la notte.
Entro nella locanda che è
notte fonda. L'ho distinta nella bruma grazie alla luce delle sue
finestre, che come squarci di lama fendevano l'oscurità. Il calore
del suo focolare mi ha chiamato, affilato quanto la voce di una
sirena, ed io ho risposto, senza indugio. Un posto per dormire è
proprio quello di cui ho bisogno e l'unica cosa che il mio cuore
desidera. Sono in viaggio da giorni, con la sola compagnia del mio
bastone, e del mio moschetto, che porto al fianco quasi come un
vecchio compare. Mi rassicura, perché non si sa mai cosa può
incontrare un umile viaggiatore nelle pianure notturne dell'Alvernia,
soprattutto quando il cielo è nero.
La luce del caminetto per
un attimo mi acceca. Dentro non c'è nessuno, soltanto un vecchio,
che ha lo sguardo fiero e disincantato di chi è abituato a
comandare. Gioca con un piccolo coltello dal manico di legno, che ad
una prima occhiata sembra antico quasi quanto lui. Per un attimo
l'uomo alza la testa e mi guarda, poi la abbassa e continua a
maneggiare la lama, senza dire una parola, come se non fosse riuscito
a vedermi. Il fuoco vivo del camino sottolinea le rughe profonde del
suo viso e per un attimo, forse gli occhi mi ingannano, la sua bocca
diventa storta come il sorriso del diavolo.
«Cerco
un posto per la notte.» mormoro timidamente, mentre mi faccio più
vicino. Il legno del pavimento scricchiola sotto il mio peso.
Mi levo il pastrano e lo appoggio sopra una sedia. Allora il vecchio
solleva la testa e stavolta mi vede davvero.
«Che
cosa ci fai qui? – rantola – credevo fossi un'ombra.»
«Sono
un viaggiatore. Devo portare un dispaccio a...»
Il
vecchio mi fa gesto di smettere di parlare.
«Sei
uno straniero? Sì, si vede dal tuo viso. Cosa ci fai qui? – ripete
– non sai che questi non sono luoghi frequentati dai timorati di
Dio? Sei pazzo se credi di poter viaggiare nei reami della notte
senza pagarne il prezzo.»
«Cerco
solo una stanza.» ribatto io, un po' stordito, un po' rabbioso.
L'uomo si alza e si avvicina a me, zoppicando e bestemmiando. E'
solo allora che mi accorgo della luce lunare che entra dall'abbaino,
e immerge tutta la locanda in un'atmosfera da incubo. Apro la bocca,
ma il respiro mi si congela in gola. Sento dei rumori provenire dal
bosco. Guaiti. Latrati. Grida. Rumore di unghie che strisciano sulla
corteccia degli alberi. Poi un silenzio di morte.
«Cosa
sono?» sussurro, senza riuscire a trattenere le lacrime. Gli
occhi del vecchio ardono come pertugi diretti al cuore dell'inferno.
«Sono
qui per noi. Sono demoni. Streghe. Fantasmi. Sono i messaggeri della
Nostra Signora. Credevi forse di vivere per sempre? Sciocco! La mia
anima è pronta. E la tua?»
Nessun commento:
Posta un commento