Un breve racconto dedicato al tema del viaggio. Un uomo, la solitudine e un percorso per scoprire se stesso...
Il deserto roccioso dello Utah si estende sotto i tuoi occhi fino
all’orizzonte; un infinito mare arancione composto da guglie, pinnacoli e
valloni che sembrano stati scolpiti nell'arenaria da un Dio pieno di estro
creativo. Se è vero che la città si presenta come la gloria della razionalità
umana, il baluardo di un umanesimo costretto a confrontarsi con la propria
mortalità, qui, nella natura selvaggia, è l’immortalità a regnare sovrana. Un’immortalità
che si manifesta attraverso l’immutabilità del paesaggio più aspro degli Stati
Uniti, e forse del mondo intero.
I tuoi polmoni si dilatano mentre il profumo dolce della sabbia e
della polvere di roccia ti solletica i sensi. Ti incammini, zaino in spalla,
senza sapere dove ti porteranno i tuoi piedi o quale sarà il tuo giaciglio
quando il sole tramonterà all’orizzonte.
Il vero Viaggiatore gode delle piccole e grandi cose nello stesso
istante, i suoi sensi sono stati addestrati a captare il tutto, a dilatarsi e a
restringersi senza soluzione di continuità. Lei questo non l’ha mai capito, per
questo non è lì con te, e ti ritrovi solo con te stesso.
“Lo Utah? Non c’è niente nello Utah!” ti ha detto quando le hai
proposto di partire per un viaggio on the
road.
“Lì c’è tutto quello che serve. Sole. Aria. Terra.” le hai risposto.
“E poi? Dopo che avremo visto il deserto e ascoltato i suoi silenzi,
dove andremo?”
“E poi, e poi… come sei noiosa. Poi si vedrà.” le rispondi, mentre una
grande delusione si fa spazio nella tua anima.
Siete troppo diversi, te ne rendi conto solo adesso. È per questo che
lei sceglie di sparire dalla tua vita. Prende le sue borse firmate, indossa le
sue scarpe col tacco, la sua sciarpa di seta e se ne va sbattendo la porta.
L’ultima cosa che senti di lei è il trolley che ruggisce lungo il corridoio del
secondo piano. È un rumore che non ha significato in quel deserto o se l’aveva
adesso l’ha perduto.
Il vero Viaggiatore non considera né la partenza né l’arrivo. Per te
sono soltanto due punti per cui deve passare necessariamente la retta
dell’esperienza. È questo il tuo credo. Per viaggiare davvero ci si deve lasciare
il passato alle spalle e il futuro, in quanto tale, non deve essere più
consistente della sabbia che ti passa accanto tagliandoti il viso, o del vapore
che sale verso il cielo dalle rare pozze d’acqua torbida che si avvistano ogni
tanto fra le rocce. Solo così il presente acquista il valore che merita e la
percorrenza diventa metafora della vita stessa.
Senza più pensieri ti immergi in un canyon scavato da un fiume evaporato
da chissà quanti secoli. La forza di quelle acque fantasma si può udire ancora,
nei mille fruscii che il vento suscita serpeggiando nelle scivolosità dell’alveo
asciutto. Il sole ti dice addio con un ultimo bagliore mentre ti addentri nelle
curve uterine della roccia. L’eco dei tuoi passi sparisce presto oltre l’ombra
di un meandro abbandonato.
Neppure il Dio che ha scolpito l’arenaria può ora sapere dove ti
condurrà il tuo viaggio.
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