Perdonatemi: non ho trovato il
tempo di scrivere un nuovo racconto, ma voilà,
ecco la recensione di uno dei film che ha segnato la mia infanzia: Nel fantastico mondo di Oz di Walter
Murch. Il titolo italiano, come sempre, è stato scritto coi piedi. Molto meglio
l’originale inglese: Return to Oz.
Prodotto dalla Walt Disney (non
come il primo storico film del mago di Oz, i cui diritti appartengono alla
Warner) il film si ispira al secondo e al terzo libro della saga di Oz ideata
da L. Frank Baum. Prima di procedere, un avvertimento: dimenticatevi la gaia
serenità della Dorothy di Judy Garland, perché qui, nel regno di Oz di Walter
Murch, si respira un’aria diversa… e che aria!
La storia continua da dove si
era interrotta: Dorothy è tornata nel Kansas, ma, ahimè, non è più la stessa.
Non fa altro che parlare di Oz, dello Spaventapasseri, della città di Smeraldo
e sua zia, la poco lungimirante Emma, decide di portarla in una clinica psichiatrica
per farle passare del tutto questa sua mania. Una clinica dell’epoca, si
intende, con tanto di macchine per l’elettroshock, barelle dotate di cinghie e
orribili infermiere vestite di nero… Creepy,
non è vero?
Proprio mentre sta per essere
attaccata alla macchina elettrica, per una bella e “sana” dose di elettroshock,
nella clinica salta la luce e Dorothy, liberata da una misteriosa ragazzina in
abito bianco, riesce a fuggire. Inseguite dalla caposala, la malvagia
infermiera Wilson (è un caso che assomigli a una strega delle fiabe?) le due
ragazzine finiscono in un fiume e, sotto un furioso temporale, vengono
trascinate via dalla corrente. Ed ecco che, esattamente come accadeva nel primo
romanzo, Dorothy si risveglia ad Oz, senza avere la più pallida idea di come
esserci arrivata. Oh, ma non è l’Oz che ci aspetteremmo: la Città di Smeraldo è
in rovina, ogni abitante è stato tramutato in statua e le pietre preziose,
splendore della città, sono state trafugate. Una regina malvagia che colleziona
teste di ragazzina (sì avete letto bene) ha preso il posto del Re Spaventapasseri
e, in combutta con il malvagio Re degli Gnomi, tiene in scacco l’intero Regno
di Oz. Una bella gatta da pelare, per la povera Dorothy Gale.
Figuratevi che goduria, per un
bambino di otto anni, guardare un film dove l’antagonista, le perfida strega
Mombi, conserva le teste delle sue prede in eleganti vetrinette dorate, come
fossero tazzine di porcellana. E poi mi domandavo perché, quando mi
addormentavo, avevo sempre gli incubi!
Il film, purtroppo, non ebbe il
successo sperato, nonostante sia diventato un cult quasi introvabile (se vi
capita di trovare il DVD, compratelo assolutamente: potrebbe essere l’ultimo
esemplare esistente) e il motivo salta subito all’occhio. Il film di Murch è l’esatto
opposto del capolavoro di Fleming del 1939. È innegabile che il musical zuccheroso
e iper-colorato della Warner Bros. sia stato e sia tutt’ora una leggenda, e
vedere il mondo fantastico e magico di Oz ridotto ad un deserto in rovina,
popolato da creature terribile e minacciose (i Ruotanti, quand’ero bambino, me
la facevano fare sotto), è un colpo che gli spettatori dell’epoca non seppero
sopportare.
Ovviamente, con il passare degli
anni è stata proprio quest’atmosfera quasi Burtoniana a decretare il successo
del film. Un miscuglio di fantasy e horror che davvero non delude.
Ciliegina sulla torta, una
chiave di lettura che ho capito solo dopo aver rivisto il film da più grande.
La macchina dell’elettroshock, che il dottore cerca in tutti i modi di rendere
più “umana” e meno spaventosa, è la metafora della tecnologia che rischia di
uccidere la creatività. In questo senso, il mondo di Oz così “violento” è una
specie di rivalsa dell’immaginazione contro i pericoli della perdita dei valori
tradizionali.
Che altro dire? Spero che anche
voi abbiate avuto la fortuna di vedere questo piccolo classico dimenticato. Se
così fosse, commentate qui sotto e ditemi come la pensate! In caso contrario,
spulciate il web e comprate il VHS/DVD… ne varrà la pena!
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